Sotheby’s ha citato in giudizio un collezionista di New York che si sarebbe rifiutato di onorare la sua offerta da 6,5 milioni di dollari per un dipinto Senza titolo del 1982 di Keith Haring. Il quadro, dopo la rinuncia da parte del collezionista, è stato rivenduto ad un prezzo più basso rispetto a quello offerto in prima battuta.
Il collezionista in questione, Anatole Shagalov, dovrebbe ripagare la casa d’aste del danno subito: 2,13 milioni – la differenza tra la sua offerta vincente nell’asta di maggio 2017 e il prezzo che Sotheby’s ha ottenuto per il lavoro dopo che è stato costretto a rivenderlo.
L’udienza è fissata per martedì. Shagalov, sostiene che Sotheby’s era d’accordo prima dell’asta per permettergli di pagare il lavoro a rate, e poi richiese il denaro tutto in una volta. Dice anche che Sotheby’s non è riuscito a fare uno sforzo “commercialmente ragionevole” per ottenere un prezzo più alto quando in seguito ha venduto il lavoro per 4,4 milioni di dollari. L’avvocato di Sotheby’s, afferma che la casa d’aste: “offre occasionalmente piani di pagamento rateali, ma lo fa per iscritto e richiede il pagamento delle rate. In questo caso non c’è nulla per iscritto e non è mai stato effettuato alcun pagamento”. Pare che questa faccenda sia una specie di abitudine per il collezionista che, a detta del suo avvocato: “prende in prestito denaro, compra arte, vende arte, restituisce i prestiti”. Non sta a noi analizzare il caso, ma questo è evidentemente un esempio di come il mercato dell’arte sia, sempre più spesso, ad appannaggio di uomini in cerca di affari più che di amanti dell’arte. (RP)