Li stavamo aspettando da quando – sul finire di un agosto troppo caldo, troppo vuoto, già lontano dalle maratone delle aste – Christie’s annunciava la vendita della collezione di Paul Allen (1953-2018), co-fondatore di Microsoft, magnate, filantropo, nonché fine intenditore di tesori (qui). Ed eccoli, a un mese di distanza, i pezzi forti di quell’incanto già leggendario: i prossimi 9 e 10 novembre, in due manches ravvicinate, a New York, i 150 capolavori dell’ex socio di Bill Gates potrebbero chiudere la partita a quota 1 miliardo. Vale a dire l’asta più strabiliante di sempre, che polverizza in due sessioni anche l’impresa titanica dei coniugi Macklowe.
C’è la vista mozzafiato di Paul Cézanne su La montagne Sainte-Victoire in vetta alla raccolta, la stima, su richiesta, si aggira intorno ai $ 120 milioni. Ci sono dipinti di Jan Brueghel il Giovane, Gustav Klimt, Edouard Manet, Jasper Johns, c’è Verger avec cyprès di Vincent Van Gogh, un’altra superstar da almeno $ 100 milioni. Così, per rendere l’idea. Ancora, una sgargiante Maternitè di Paul Gauguin, del 1889, la stima supera i $ 90 milioni; un Waterloo Bridge, soleil voilé di Claude Monet, la stessa serie dell’esemplare che nel maggio 2021, da Christie’s, toccava il tetto di $ 48,5 milioni – e che stavolta dovrebbe sfiorare i $ 60 milioni; sempre poetica la luce infuocata di William Turner, la valutazione della sua Venezia è «in excess of $ 30 million»; e poi un interno psicologico di Lucian Freud, in prestito nel 2019 al Seattle Art Museum, ora in corsa per un’aggiudicazione da oltre $ 75 milioni.
Un elenco che sfida gli inventari dei migliori musei. Lo conferma Marc Porter, Presidente di Christie’s Americas: «È difficile immaginare che questo sia il risultato dell’appassionata ricerca dell’eccellenza da parte di un solo uomo», rivela alla stampa, «ma Paul G. Allen era davvero un visionario, era attratto da artisti che condividevano il suo genio nel vedere il nostro mondo in modi nuovi, capaci di spiegarlo con mezzi nuovi». Come René Magritte, presente in catalogo con La voix du sang del 1948 (stima: $ 12-18 milioni). Oppure Georgia O’Keeffe, una sua iconica White Rose – i petali seducenti, scultorei – troverà un nuovo proprietario per almeno $ 6 milioni.
Ultimo pezzo forte della rassegna, il capolavoro puntinista Les Poseuses, Ensemble di Georges Seurat, precedentemente nelle collezioni di Alphonse Kann, John Quinn e Henry McIlhenny e già presente all’Armory Show del 1913. La stima? Su richiesta, come il resto del catalogo, ma di certo superiore ai $ 100 milioni. «Quando apparve all’asta per l’unica volta nel 1970», svela Max Carter, Vice Chairman, 20th and 21st Century Art, Americas, «lo storico dell’arte John Russell suggerì che fosse uno dei tre o quattro più belle opere d’arte in vendita dal dopoguerra». E commenta: «Vale lo stesso anche oggi».
Opere magistrali, qualità da museo, proprietà perfettamente tracciate. Non solo. Molti capolavori della raccolta hanno già girato il mondo in lungo e in largo, incrociando lo sguardo del pubblico internazionale: dalla fine degli anni ’90, Allen iniziò a condividere la sua fortuna con prestiti a musei e istituzioni, spesso in modo del tutto anonimo, e nel 2016 organizzò perfino una mostra itinerante, Seeing Nature, tutta incentrata sull’evoluzione dei paesaggi nella storia. Incluso Birch Forest, il Gustav Klimt da (almeno) $ 90 milioni ora all’asta da Christie’s. E così Le Grand Canal à Venise, l’opera di Edouard Manet che potrebbe superare a novembre i $ 50 milioni. «Devi farlo perché ami le opere… e sai che tutte queste opere ti sopravviveranno», diceva. «Sei solo un custode temporaneo».
Ciliegina su una torta già molto saporita: per volere del loro storico proprietario, tutti i proventi dell’incanto saranno destinati alla beneficenza. Proprio come in vita, quando i contributi filantropici di Allen, pari a oltre $ 2,65 miliardi, hanno approfondito la comprensione delle bioscienze, condiviso arte, musica e film con il mondo, affrontato epidemie, aiutato a salvare specie in via di estinzione, esplorato i fondali oceanici e investito in comunità più vivaci e resilienti. «Polymath», poliedrico, così era definito. Un uomo, un informatico, un collezionista visionario, che voleva rendere il mondo un posto migliore.
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