Milano, via Santo Spirito 7, Palazzo Bagatti Valsecchi. Sono queste le coordinate della nuova galleria della Maurizio Nobile Fine Art, la terza sede dopo le aperture di Bologna (1987) e Parigi (2010). Ad aprire le danze, fino al 18 dicembre, una mostra che attraversa senza limiti di tempo la grande bellezza dell’arte italiana, con capolavori di artisti come Francesco Hayez, Guercino, Duccio da Boninsegna e Giovanni Boldini. Perché proprio a Milano e perché – soprattutto – in questo 2021 fuori dagli schemi? Lo abbiamo chiesto direttamente a Maurizio Nobile, fondatore della galleria.
Tutta l’arte è contemporanea, se arriva fino al presente – inclusa quella degli Old Masters. Qual è il tratto più contemporaneo dell’arte antica di Maurizio Nobile?
«Tutta l’arte è senza tempo. Tutta l’arte è contemporanea. Questo è il nostro motto, il credo che ispira le nostre scelte e le nostre proposte. Ogni opera che trattiamo – antica o moderna che sia – ha una storia da raccontare; un dialogo che oltrepassa, attraversandolo, il tempo. Una traccia temporale da conservare e ascoltare – oltre che da guardare».
Secondo l’ultimo report di Art Basel e UBS, le vendite europee di Old Masters sono diminuite di oltre il 60% in un decennio, principalmente «a causa dell’offerta molto ristretta di opere di alta qualità in circolazione». Si ritrova in questi dati?
«Il recupero di opere d’arte importanti e di grande qualità è diventato negli ultimi anni sempre più difficile. Contestualmente i collezionisti – italiani e non – sono diventati sempre più esigenti nelle loro scelte. Questi due fattori hanno certamente influenzato il mercato attuale dei dipinti antichi. Tuttavia si sta assistendo nell’ultimo periodo a un’inversione di tendenza, che considero molto promettente per il prossimo futuro».
In generale, come descriverebbe la salute del mercato dell’arte in questo 2021 pandemico?
«Una premessa innanzitutto. In tutte le fasi storiche caratterizzate da crisi economiche, il mercato non si è mai arrestato. È stato così nel 1992 ai tempi di Tangentopoli, nel 2008-2009 con il crack della Lehman Brothers, e oggi con la terribile pandemia di Coronavirus. Detto questo, ritengo che l’attuale situazione di mercato sia in netto miglioramento: i collezionisti hanno riacquistato voglia e fiducia nell’investire in dipinti e sculture, a prescindere dall’epoca storica in cui sono stati eseguiti. Tuttavia è necessario tenere a mente un’avvertenza importante: l’investimento in arte non deve mai muoversi con logiche speculative, ‘compro oggi per vendere domani’. È un investimento di lunghissimo periodo, che spesso crea valore nell’arco di decenni o a volte di una generazione. Oppure è un modo per lasciare in eredità ai propri discendenti beni che si apprezzano nel tempo».
Proprio nel 2021 la galleria Maurizio Nobile sceglie di inaugurare una nuova sede a Milano. Da che cosa nasce questa esigenza?
«Era da tempo che accarezzavo il desiderio di aprire a Milano una galleria d’arte. Il capoluogo lombardo ha dimostrato negli ultimi anni di sapersi rinnovare in maniera straordinaria, pur rimanendo fedele alla sua storia e alle sue tradizioni. Milano è inoltre – insieme a Londra e Parigi – uno dei principali centri europei del mercato dell’arte internazionale, aperto tanto all’antico quanto al moderno. E questo si riflette anche nell’offerta culturale che la città offre a un pubblico sempre più esigente e variegato. La tragica pandemia dell’ultimo anno e mezzo ha rallentato questo mio progetto, fino a quando si è presentata l’occasione di poter usufruire di alcune stanze poste al piano nobile dello storico Palazzo Bagatti Valsecchi, di via Santo Spirito».
Si aspetta un collezionismo diverso a Milano, rispetto a quello di Bologna e di Parigi?
«Il collezionismo lombardo è sempre stato molto eclettico, aperto tanto all’arte antica quanto a quella moderna. Una caratteristica che ancora lo contraddistingue, sebbene nell’ultimo decennio si è sempre più ‘internazionalizzato’, con una conseguente diversificazione nella richiesta di opere d’arte di ambiti e epoche diverse».
Ci introduce brevemente la mostra La Grande Bellezza. Sette secoli di arte italiana?
«Certamente. La Grande Bellezza. Sette secoli di arte italiana è una mostra che fotografa perfettamente l’attività della galleria, che da oltre trentacinque anni si dedica a esaltare la ‘Grande Bellezza’ dell’arte italiana, dal Trecento fino al secondo Novecento. Una mostra che annovera una selezione di straordinarie opere di indiscussi Maestri, fra cui Giovanni Boldini, Felice Casorati, Guercino, Francesco Hayez, Giorgio Morandi, Arnaldo Pomodoro e Giovanni Battista Salvi detto il Sassoferrato».
L’opera di Hayez, in particolare, non veniva esposta da tempo al pubblico. Qual è la sua storia?
«Si tratta della terza versione de I profughi di Parga, realizzata da Hayez nel 1832 ed esposta nello stesso anno a Brera su commissione del nobiluomo Francesco Chioggi. La tela rappresenta uno dei capolavori della pittura storica hayeziana e certamente, insieme ai quadri di Delacroix, tra i risultati più significativi del genere ‘filoellenico’, dedicato cioè alle vicende della lotta d’indipendenza greca. La vicenda della città greca di Parga, ceduta dagli Inglesi nel 1818 all’esercito ottomano di Alì Pacha di Janina, aveva sconvolto la coscienza dell’Europa democratica grazie alle accorate denuncia della stampa e degli intellettuali più impegnati, come Foscolo nel 1819 e Berchet nel popolare poemetto del 1823; senza dimenticare il Voyage dans la Grèce di Pouqueville, edito a Parigi nel 1820, indicato dallo stesso Hayez come la fonte principale di documentazione. La scena evocata nella tela esposta in mostra è quella narrata da Mustoxidi nella sua Exposé des faits qui ont précedé et suivi la cession de Parga del 1820 e sviluppata proprio nel poemetto di Berchet».
Un’ultima domanda riguarda la particolarità della sede, Palazzo Bagatti Valsecchi. In che modo le opere della galleria dialogheranno con questa cornice?
«Insieme a Stefano Bosi, che dirige la sede di Milano, si è discusso molto su come strutturare la galleria senza intaccare la magia del luogo e l’unicità degli spazi che lo compongono. Si è pertanto deciso di focalizzare l’attenzione sulla dimensione ‘intima’ e ‘esclusiva’ che contraddistingue questi ambienti, al fine di creare uno spazio altamente evocativo, capace di far risaltare al meglio le opere d’arte che vi sono esposte».
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