Il Tondo Doni è stato venduto. No, non si tratta di un caso di deaccessioning, in Italia non è possibile alienare le collezioni che appartengono allo Stato. L’opera che ha fruttato 70mila euro alle Gallerie degli Uffizi è una versione tutta digitale del capolavoro di Michelangelo Buonarroti ed è stata realizzata tramite il DAW ® (Digital Art Work), un brevetto esclusivo dell’azienda Cinello che contribuisce alla diffusione e al sostegno del patrimonio artistico. In altre parole? Il fortunato acquirente – un anonimo collezionista romano – si è aggiudicato una serigrafia digitale unica (o meglio una delle 9 copie, tutte uniche), identica all’originale, autenticata da Blockchain e impossibile da manomettere e copiare. Copie uniche? Digitali e irriproducibili? Benvenuti nell’epoca degli NFT.
«L’intesa tra l’impresa e le Gallerie», riporta il comunicato stampa, «prevede il versamento al museo del 50% del ricavo netto dal prezzo di vendita per ogni DAW® creato sulla base di un dipinto scelto dalla selezione di opere al centro dell’accordo stesso». Ed ecco che, dei 240mila euro pagati dal collezionista, 70mila sono entrati agli Uffizi, 70mila all’azienda Cinello e i 100mila restanti hanno coperto le varie spese.
Ma il Tondo Doni in serie limitata – di cui, lo ricordiamo, sono disponibili ancora 8 copie – non sarà l’unica opera digitale a essere messa in vendita. Tra gli accordi, spiegano dagli Uffizi, «vi sono la Madonna del Granduca, la Velata e la Madonna del Cardellino di Raffaello, La Nascita di Venere, la Primavera e la Calunnia di Botticelli, L’Annunciazione e il Battesimo di Cristo di Leonardo, l’Eleonora da Toledo del Bronzino, il Bacco di Caravaggio, I quattro filosofi di Rubens, la Leda e il cigno di Tintoretto, la Venere di Urbino di Tiziano, la Veduta di Palazzo Ducale a Venezia di Canaletto».
Nei mesi scorsi, in un’inchiesta che ha coinvolto direttori e altre voci autorevoli del mondo dell’arte (qui), abbiamo chiesto agli intervistati di ipotizzare delle alternative efficaci al fenomeno del deaccessioning, la vendita delle collezioni museali per ottenere liquidità immediata. Ci interessava la possibilità di trovare risposte altrettanto “veloci”, con fondi pronti all’uso a cui attingere per impinguare le casse dei musei; nessuno, di certo, voleva accontentarsi di toppe momentanee, di soluzioni “cuscinetto” sfruttabili una volta sola, né tanto meno tifava per azioni che avrebbero depauperato l’inestimabile patrimonio artistico italiano. Ebbene: che sia questa l’alternativa che stavamo cercando? La digitalizzazione – e la conseguente vendita – delle opere museali? «Immagina di poter supportare il tuo museo preferito acquistando opere dalla sua collezione», recita il sito dell’impresa Cinello. «Adesso è possibile».
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