All’indomani della riforma del Mibac, voluta dal ministro Alberto Bonisoli e ratificata con una sorta di blitz il 13 agosto, già si avertono i primi malumori. A contestare duramente il provvedimento, in particolare è il Polo Museale del Veneto che, in seguito alla riorganizzazione del patrimonio museale nazionale, cesserà di esistere. L’ente, che attualmente è responsabile della gestione di 15 siti museali in tutta la Regione, dal Museo Archeologico Nazionale di Venezia al Museo Nazionale Atestino di Padova, sarà accorpato nella nuova Direzione territoriale delle reti museali di Lombardia e Veneto. Non è servita a placare gli animi la dichiarazione su Facebook dello stesso Bonisoli, con la quale ha rassicurato che «i musei rimarranno sotto la gestione diretta dello Stato, più moderna, efficiente e semplificata, con una distribuzione più equa delle risorse».
Ad alzare la voce, in particolare, il Pd veneziano, nella persona del deputato Nicola Pellicani che, come riportato dall’edizione veneta del Corriere della Sera, non solo lamenta «un progetto confuso e senza logica, che crea problemi alla gestione del patrimonio», ma annuncia anche un’interrogazione.
Introducendo le Direzioni territoriali delle reti museali al posto dei Poli museali regionali, la riforma Bonisoli, che entrerà in vigore il 22 agosto, ha fatto anche altre vittime. A essere unificati in un’unica Direzione Territoriale delle Reti Museali saranno, infatti, anche i Poli di Abruzzo e Molise, Piemonte e Liguria, Puglia e Basilicata. Meno chiaro è l’accorpamento in un’unica direzione dei Poli di Calabria e Sardegna.
Le Soprintendenze continueranno a svolgere «le funzioni di tutela e catalogazione nell’ambito del territorio di competenza, sulla base delle indicazioni e dei programmi definiti dalla Direzione generale Archeologia, belle arti e paesaggio», ma avranno anche competenze relative alla valorizzazione.
La Riforma del Mibac targata Bonisoli ha poi istituito due Musei Nazionali, quello dell’Umbria e quello delle Marche, al posto della Galleria Nazionale dell’Umbria e delle Marche, all’interno dei quali transitano i musei non autonomi afferenti agli ex Poli museali di Umbria e Marche. E ancora, nascono i Musei Nazionali Etruschi con sede a Villa Giulia – anche questa una manovra contestata, come vi spiegavamo qui – che ricomprendono i musei etruschi e archeologici nazionali di Chiusi, Rocca Albornoz, Tarquinia, Tuscania, Cerite-Cerveteri e le necropoli etrusche site nel Lazio (Banditaccia-Cerveteri e Monterozzi-Tarquinia) e in Toscana (Poggio Renzo-Chiusi, Tomba della scimmia-Chiusi). Il decreto ha quindi elevato i Musei Nazionali Etruschi a museo di seconda fascia, fornendo all’ente lo statuto di autonomia speciale, non solo scientifica ma anche gestionale. Il provvedimento firmato da Bonisoli ha istituito il parco del Castello di Miramare a Trieste, di cui fanno parte i musei inseriti nel polo museale del Friuli Venezia Giulia. È stato stabilito il passaggio della Galleria Giorgio Franchetti alle Gallerie dell’Accademia di Venezia e della Galleria dell’Accademia di Firenze e del Museo San Marco di Firenze agli Uffizi, anche questa una manovra che ha suscitato più di qualche mal di pancia. Buone notizie per la Pinacoteca di Brera, che si è vista arrivare in dote il Cenacolo Vinciano.
Si tratta, dunque, di un vistoso cambio di direzione rispetto alla Riforma di Dario Franceschini, che già era intervenuta in profondità nell’approccio al patrimonio culturale pubblico. Ma oltre a questa radicale riorganizzazione, che sembra riunire i patrimoni culturali di regioni molto diverse fra loro, a destare malumori e perplessità è stata, a ben vedere, anche un certa tendenza comune tra le due riforme, cioè una propensione alla privatizzazione. In quel caso, per l’autonomia gestionale conferita ai musei di rilevante interesse nazionale, dotati «di una propria identità, di un proprio bilancio e di un proprio statuto». In questo, invece, per la facoltà che viene data alla Direzione Generale Musei – istituita proprio dalla riforma del 2014 – di favorire la nascita di nuove fondazioni museali che gestiscano i musei statali. Bisogna però specificare che, già da diversi anni, il Ministero dei Beni Culturali ha dato impulso alla sperimentazione di organismi gestionali ibridi, per esempio, con l’istituzione della Fondazione Real Sito di Carditello, ente di diritto privato ma costituito interamente da soggetti pubblici.
A essere rafforzati saranno anche i poteri del segretario generale, Giovanni Panebianco, nominato ad agosto 2018, al quale sarà avocato il coordinamento sia delle politiche dei prestiti all’estero che della comunicazione istituzionale, oltre che il «coordinamento in materia di politiche del turismo con il competente Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo».
La riforma del Mibac di Alberto Bonisoli ha confermato l’accorpamento della direzione generale Archeologia con la direzione generale Belle Arti e Paesaggio. Il direttore generale avrà competenza sui provvedimenti di verifica o dichiarazione di interesse culturale, adotterà le prescrizioni di tutela indiretta e le dichiarazioni di notevole interesse pubblico paesaggistico. Tra i punti salienti, la nuova direzione generale Contratti e concessioni, che centralizzerà appalti e concessioni sia per la sede centrale, senza limiti di valore e di oggetto, che per gli uffici periferici del ministero, con limiti definiti tramite decreto ministeriale.
Per quanto riguarda il contemporaneo, c’è curiosità per capire come si adatterà l’attivissima DGAAP- Direzione Generale Arte e Architettura contemporanee e Periferie urbane, trasformata in Direzione Generale Creatività contemporanea e rigenerazione urbana, con competenze specifiche su moda e design, due settori sui quali Bonisoli ha sempre dichiarato un certo interesse.
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