Le fotografie di Margherita Morgantin sono tracce di performance transitorie nello spazio urbano. I set sono luoghi interstiziali, territori sconnessi, angoli di città irriconoscibili, inutile provare a distinguere l’Europa dell’Est dalla periferia del Nord Italia.
Così scrive Emanuela De Cecco nell’introduzione al catalogo formato CD realizzato per la personale che la galleria Artopia dedica all’artista veneziana Margherita Morgantin (1971).
Il progetto è stato accuratamente pensato per lo spazio espositivo: una casa-galleria che già in precedenza ha ospitato altre mostre personali, adattandosi ed integrandosi perfettamente con le opere esposte, anzi divenendo parte fondamentale dell’evento, non solo semplice scenografia.
Le tre fotografie hanno per protagonisti tre personaggi che indossano delle divise arancioni da lavoro: si tratta di anonimi operai, sospesi in uno spazio urbano quasi irreale, intenti a lavorare per garantire la sicurezza sociale. Quante volte abbiamo visto la scritta ‘lavori in corso’, senza quasi accorgercene? In questo caso è possibile assistere al lavoro fuori luogo e fuori orario degli uomini in uniforme, le cui azioni acquistano un valore quasi sacrale, e si pongono ad emblema di una condizione umana sospesa tra reale ed assurdo, presenza ed assenza.
Osservare diviene quindi azione fondamentale: scorrono di fronte allo spettatore le vestigia di una megalopoli fantasma, accompagnate da appunti e piccoli disegni che gli permettono di esplorare territori altrimenti inaccessibili.
Ecco quindi un giardiniere che cura ironicamente dei fiori artificiali la cui forma richiama il simbolo della Nike (Controllare l’acidità della terra, 2001); o Areare il locale in caso di incertezze (2001), un paesaggio postindustriale che ospita un operaio con la sua divisa appena prelevata da un bucato di tute bianche. Infine Tenersi fuori dalla portata dei bambini (2001), l’immagine forse più inquietante di tutte: ancora un uomo in tuta arancione che guarda con desiderio struggente lo stabilimento della Lindt al di là della strada. Non accade altro.
La videoproiezione, Inserire il codice al riparo da pensieri indiscreti (2001), è costituita da una serie di immagini che hanno per motivo conduttore le prove di resistenza. Memorabile la sequenza in cui compare per qualche secondo una figura femminile (l’artista stessa) vestita di bianco, con le braccia aperte. È sospesa in aria, come un angelo e sorvola una discarica. La stessa figura la ritroviamo poi abbarbicata su un palo della luce, folgorata da una scossa elettrica. Questo è ciò che accade quando ci si spinge oltre, superando le norme di sicurezza.
articoli correlati
Un-expected: uno sguardo femminile sulla scena contemporanea
Cinzia Tedeschi
Mostra visitata il 10/01/2001
Negli spazi di Villa Lysis, a Capri, in mostra una serie di opere su vetro di Roberto di Alicudi: una…
MAC - Studi d'Artista è il progetto che riunisce rigenerazione urbana e nuove esperienze della creatività contemporanea a Padova: ne…
Fino al 24 novembre, all'Accademia di Belle Arti di Venezia, sarà visitabile "Josèfa Ntjam: Swell of Spæc(i)es", a cura di…
Si svolgerà l’11 luglio, da Cascina Merlata Spazio Vivo di Milano e da ICO Academy di Ivrea, un convegno dedicato…
In occasione della seconda edizione di Expodemic, il Festival diffuso delle Accademie e degli Istituti di Cultura stranieri a Roma,…
Negli splendidi spazi dei Musei Civici di Palazzo Buonaccorsi si apre la mostra “Vis-à-vis. Ritratti moderni e contemporanei”, a cura…
Visualizza commenti
non credo che c'entrino i non luoghi...