Quando l’ultimo scalpello greco ha finito di risuonare, sul Mediterraneo è calata la notte. Lunga notte rischiarata dal quarto di luna (luce riflessa) del Rinascimento, ora sul Mediterraneo noi sentiamo scorrere la brezza. Ed osiamo credere che sia l’alba. Queste parole di Fausto Melotti sono esemplificative di come la nuova generazione di artisti considerasse il proprio debito con il passato: era necessaria una frattura che segnasse definitivamente una nuova epoca.
Nel panorama figurativo italiano un ruolo importantissimo l’ebbe la febbrile ricerca materica di Medardo Rosso, che riuscì nell’improba impresa di far riemergere dalla pastoie accademiche il nostro movimento scultoreo ancora legato a stilemi michelangioleschi. Proprio partendo da Medardo Rosso inizia un’interessantissima mostra, che si snoda nelle sedi dello Spazio Oberdan e di Palazzo Isimbardi, e che intende illustrare tutte le diverse tendenze che hanno animato la scultura italiana del XX secolo. Alcuni dei maggiori capolavori sono riuniti in un percorso omogeneo che ci fa intendere come anche la scultura, genere troppo spesso trascurato o addirittura ignorato, abbia vissuto dei momenti davvero assoluti. Ad esempio, la grandiosa stagione futurista è presente con uno dei massimi capolavori dell’arte italiana, la celeberrima Forme uniche nella continuità dello spazio di Umberto Boccioni, affiancato da una grande intuizione di Giacomo Balla, Linee – Forza del pugno di Boccioni:
La vera conquista dello spazio fatta dall’uomo è il distacco dalla terra, dalla linea dell’orizzonte. Nasce così la IV dimensione, volume ora veramente contenuto nello spazio in tutte le sue dimensioni. Queste parole di Lucio Fontana
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