Già dalle prime immagini, la luce scenografica colpisce l’attenzione. Anton Bruehl ama infatti ricreare nel suo studio scene del mondo teatrale, che però non avranno altro pubblico se non quello dei lettori di riviste come Vanity Fair, Vogue, Condé Nast.
Nelle sue foto i movimenti non sono casuali, ma ricercati, come se durante una danza avesse deciso di arrestare i ballerini in un gioco di corpi e di visi carichi di espressioni che sembrano rubate, ma allo stesso tempo controllate, facendoci soffermare su ogni particolare minuziosamente curato.
Protagonisti delle sue scene non sono solo le dolci ballerine in studio o i coinvolgenti ballerini di Rumba, ma anche alcune dive hollywoodiane come Marlene Dietrich, il cui viso immortalato durante il film Desire diventa parte della storia di un’epoca.
Nelle foto in esterno Bruehl aspetta che le luci cadano sulle cisterne, sui balconi, nel modo in cui le vede nella sua mente seguendo la progettualità tipica dei suoi studi ingegneristici e mostrandoci il lato formale e ordinato delle costruzioni.
Alla fine una sequenza di fotografie mostra un esercizio d’inquadratura sul tetto della Pennsylvania Station, scattate mentre era ancora uno studente della scuola di fotografia newyorkese fondata da Clarence White che, notando il suo talento, lo seguì privatamente stimolando la sua creatività nel mescolare oggetti, colori e persone per le più famose campagne pubblicitarie di quei tempi.
La caratteristica costante che ritroviamo nei suoi still life, ritratti ed esterni, è il modo di guidare la luce sui corpi e sugli oggetti, così da dargli vita e risalto. Abilità concessa solo ai più grandi fotografi.
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