Le pareti dello spazio Photology ospitano le visioni di Mario Giacomelli (1925-2000), riflessioni che mescolano poesia, mondo contadino e cruda realtà. In occasione del cinquantesimo anniversario delle prime prove fotografiche, sono esposte cinquanta fotografie inedite, senza negativo, alcune provenienti da collezioni private, altre dall’Archivio Giacomelli. La visita è accompagnata da una registrazione video di circa venti minuti in cui l’artista spiega cosa significhi per lui la fotografia, dissertando anche della vita.
Dopo un’infanzia povera e il lavoro nella tipografia, nel 1953 ecco le prime foto. Inizia a frequentare Giuseppe Cavalli e il gruppo Misa, partecipa a concorsi fotografici. La poesia avrà per lui un’importanza fondamentale, in un connubio che l’accompagnerà in tutta la produzione artistica: Leopardi, Montale, Luzi, Borges. Il successo arriva con la serie nota in tutto il mondo con il nome i Pretini, Io non ho mani che mi accarezzino il volto, da un componimento di David Maria Turoldo, e con le vedute di Scanno, località che aveva incantato un altro grande: Henri Cartier-Bresson.
L’approdo è la prima foto ufficiale di Giacomelli, datata 1953, anno della sua prima macchina fotografica: raffigura la suola di una scarpa lasciata sulla battigia da un’onda che ancora la lambisce, tanto che l’impressione del movimento è fortissima. Segue una serie di ritratti: uomini e donne sorpresi in un istante in cui lo sguardo raccontava una storia, che ognuno può leggere con il proprio vocabolario esistenziale: Sandro, Elvira, Lero, Fiorella …
Su una parete si trovano le foto Vita d’ospizio e Verrà la morte e avrà i tuoi occhi. Giacomelli ragazzino accompagnava la madre lavandaia nell’ospizio di Senigallia: un’esperienza traumatica che ha lasciato il segno. Figure abbracciate che sembrano sostenersi a vicenda; personaggi seduti vicini, eppure distanti, persi in un passato che non vogliono condividere. Aspetti di vita e morte dappertutto, in un dissidio che cerca il suo significato: oltre la disperazione, oltre il realismo, quelle foto pongono una domanda di senso. Si percepisce comunque la vittoria della vita, anche degradata e ridotta a un ammasso di ossa e ad occhi incavati.
Seguono alcuni paesaggi, che ricordano quadri a china. “Ho svuotato questi paesaggi della loro realtà per ricomporli e ristrutturarli inserendovi qualcosa di mio”, diceva il maestro. La sua è un’arte che è combinazione di estremo realismo e di rimandi metafisici. Giacomelli mostra, come dice nel video, il suo io, la sua storia d’uomo, che non ha mai perso la speranza dello sguardo.
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donata ferrario
mostra visitata il 25 ottobre 2003
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Finalmente una presentazione di una mostra che non offre solo meri elenchi di opere, ma un commento personale, senz'altro da addetto ai lavori.
La lettura ha spinto me e altri miei amici fotografi a visitare la mostra di Giacomelli, che io altrimenti avrei perso.
Mi auguro di trovare nel futuro altri articoli così sentiti, con un retro 'umano'...
Cordialmente
Mario