Invitata alla Biennale di Venezia per il senso etico che anima molte sue opere, la napoletana Paola Di Bello sarà presente nel Padiglione dell’Arsenale, all’interno di una rassegna dedicata al rapporto contraddittorio tra sviluppo e degrado nelle aree povere del Mondo. Quello dell’impegno sociale è infatti uno degli elementi caratterizzanti la sua sensibilità artistica, sebbene non certo l’unico come dimostrano le opere presentate in questa personale. Per quanto non venga meno la tematica del viaggio e l’innata solidarietà verso ciò che è diverso, negli ultimi lavori prodotti dalla Di Bello si assiste ad una sorta di attenuazione della dimensione sociale a vantaggio di una nuova attitudine più attenta ad esplorare la relazione tra uomo e paesaggio urbano piuttosto che a emettere sentenze sulle conseguenze discutibili dei processi economici. L’interesse per le grandi metropoli, l’amore per le stampe di grande formato e l’irrefrenabile spinta ad aprire vedute rinascimentali indicano una qualche assonanza con il fotografo tedesco Thomas Struth. Si tratta tuttavia di un’analogia solo formale in quanto nel lavoro della Di Bello è presente un elemento di casualità e arbitrarietà che contrasta in modo stridente con il rigore metodologico del maestro tedesco per il quale la fotografia è essenzialmente documentazione oggettiva, impersonale e scientifica della realtà. Al contrario di Struth che sceglie con metodo il luogo da cui eseguire lo scatto e il set da immortalare, le fotografie della Di Bello vengono infatti realizzate dalle finestre degli appartamenti in cui soggiorna nei suo numerosi viaggi all’estero (in questo caso Bagdad, New York e Milano) e presentano dunque tutta l’accidentalità e parzialità che tale punto di vista comporta. Tuttavia ciò che queste immagini perdono in neutralità e oggettività lo acquistano in capacità di raccontare, non solo il luogo che ritraggono ma anche la tonalità emotiva con cui lo stesso è vissuto da chi lo abita, presentandosi a tutti gli effetti come una sorta di diario attraverso cui l’artista racconta il proprio unico e imprevedibile incontro con il mondo esterno. L’intreccio che si viene a creare tra descrizione oggettiva e punto di vista soggettivo non riguarda solo le modalità di realizzazione dello scatto, ma anche i processi di sviluppo dell’immagine in camera oscura. I lavori esposti nascono infatti dalla sovrapposizione sulla stessa stampa di una foto realizzata di giorno con una foto realizzata di notte, la cui somma coincide con la spiazzante convivenza di elementi tra loro incompatibili come i riflessi della luce solare e il luccichio artificiale dei lampioni notturni. L’obbiettivo è quello di ricostruire sulla stessa immagine le impercettibili variazioni che subiscono i paesaggi urbani, mostrandone il respiro quotidiano, quella sorta di ciclicità biologica che li rende simili a dei giganteschi esseri viventi. A scanso di equivoci è bene ricordare che l’intento della Di Bello non è mai quello di distorcere la realtà, quanto piuttosto ricreare le condizione ideali che consentano agli oggetti di apparirci in una nuova luce, più o meno come se li vedessimo per la prima volta. Soltanto in questo modo diviene possibile oltrepassare l’opacità dell’abitudine e scorgerne il significato profondo.
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Artopia, via Lazzaro Papi, 2, I piano
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sito internet www.artopia.it
orari: da martedì a venerdì 15.30/19.30
disponibile catalogo con testo di Gabi Scardi[exibart]