Quaranta artisti provenienti dall’Italia, Francia, Spagna, Inghilterra, Germania, Olanda, Svezia e Stati Uniti. Riuniti a Milano, nell’insolita e bellissima cornice della Stazione Centrale. Ed è proprio in un punto così fortemente connotato come quello della stazione, che gli organizzatori hanno pensato di allestire una collettiva di writers, graffitari e grafici, alcuni internazionalmente noti.
La mostra curata da Cecilia Nesbit tenta di indicizzare una generazione di autori intermittenti, che si sono misurati a più riprese con diverse esperienze creative, alternando la loro ricerca tra calligrafia, fotografia, moda e grafica. Mostrando in ogni loro incursione in questi campi un’innata carica eversiva e una sorprendete capacità di adeguare e modulare il loro linguaggio espressivo in ogni segmento creativo.
Qualche nome. L’americano Jeremy Fish, il romano Mirai Pulvirenti abile fotografo del mondo skater, lo spagnolo la mano e Dumbo, forse l’unico vero “writer” presente in mostra.
Ottima la scelta di creare un ipotetico “altro binario” posizionando ordinatamente una serie di parallelepipedi di alluminio zincato come congegno espositivo. Soluzione minima quanto funzionale per esporre questo tipo di lavori.
Appare immediatamente visibile come dato certo la ricchezza visiva, la capacità degli autori di intervenire così efficacemente con il segno. Ed è probabile che tra di loro vi siano i miglior disegnatori, illustratori, grafici. Capaci di essere veloci, intuitivi grazie anche ad una quotidiana pratica che si espleta nella costante frequentazione e rivisitazione di loghi, formati e supporti differenti, oltre ad un attento lavoro sulle fonti iconografiche come nel caso del nostrano, bravissimo, Abbominevole.
C’è però qualcosa che del tutto non convince in questa operazione. Ad esempio il titolo “Now Underground” che se da un lato conferma la qualità temporale dell’intervento con Now , dall’altro fa riflettere sull’abuso di una termine come Undeground. Sì, perchè in questo caso i mezzi non sono certo quelli poveri o di sperimentazione che storicamente hanno connotato il genere e il termine.
La mostra, molto ben allestita e lautamente sponsorizzata, si offre con mezzi assai visibili, collocata poi in un luogo assolutamente pubblico, o meglio di passaggio pubblico. Storicamente questo immaginario è affiorato, non più sotterrano, costituisce ad oggi un solido terreno di segni visibili. Tanto che grandi brand corteggiano questi “irregolari” per averli dalla loro.
Dispiace un po’ vedere artisti che trovavano nel loro rappresentarsi in luoghi e canali inaspettati la loro peculiarità tematica e formale, calarsi un contesto come questo.
La mostra peraltro è stata patrocinata dalle Ferrovie dello Stato e dal Comune di Milano. Si direbbero finiti i tempi in cui il comune minacciava sanzioni e battaglia ai writers o, più diplomaticamente, questo è un modo per dare agli autori il loro foglio bianco dove poter “sporcare”, accontentando così capra e cavoli.
riccardo conti
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