Ombre fioche, figure che si contorcono senza sosta ai ritmi martellanti della musica, danze sfrenate e corpi a riposo circondati dalle atmosfere stroboscopiche e allucinogene delle discoteche e dei rave party: con installazioni video proiettate in sincrono su più pareti e una serie di stampe lambda dai colori acidi e virati, Giuliana Cunéaz (Aosta, 1959) propone un ritratto dei nuovi “gruppi urbani” e dei loro modelli di aggregazione. I personaggi sembrano fare da “corollario” ai video, tracciando con i singoli frame una galleria di sagome sospese, spesso indefinite, carpite in
Agli antipodi, invece, la rappresentazione dei punkabbestia, che si muovono in compagnia dei loro cani in una città dalla luce piatta e invernale, fatta di rifiuti, strade e giardinetti squallidi, ripresi in un video dalla fotografia cruda e realistica. Le inquadrature insistono spesso sulle mani dei protagonisti: mani segnate, ricoperte di anelli, mani che sembrano appartenere più a contadini, a nomadi o a persone comunque estranee alla cultura cittadina fatta di omologata e lineare “presentabilità”. L’artista stessa li definisce come “angeli maledetti”, che “riportano nella metropoli disumanizzata il senso arcaico dell’esistenza”, legati a ritmi lontani e dimenticati. Continua dunque con questi soggetti il percorso della Cunéaz attraverso gli stati rituali e “ultrapercettivi” legati alla danza da una parte, e al recupero di antiche forme di vita e di espressività dall’altra. L’artista aveva già affrontato, infatti, nei lavori precedenti le valenze simboliche legate alla figura dello sciamano, visto nei momenti di danza estatica, che lo portavano ad un superiore distacco e –allo stesso tempo- ad una estrema vulnerabilità. Proprio a questi stati di sublimazione
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