Vik Muniz utilizza materiali inusuali, crea un’immagine e poi la fotografa. Egli è soprattutto un grande sperimentatore che utilizza nella sua ricerca più mezzi espressivi (pittura, design, scultura, fotografia), dichiarando, infatti: “l’arte mi interessa nella sua globalità e non in quanto inventario di discipline indipendenti”.
Dal vissuto quotidiano egli trae sia i materiali utilizzati per comporre le immagini che i soggetti ritratti . Con l’uso, ad esempio, di sciroppo di cioccolato, chiodi, sabbia, l’artista rappresenta infatti comuni oggetti o reinterpreta figure di autori facenti parte del bagaglio culturale collettivo.
In particolare la mostra milanese, dislocata in due diverse sedi della stessa galleria, propone quattro differenti gruppi di opere; il primo è costituito da una serie di fotografie di icone rappresentate con sciroppo di cioccolato e tratte dal nostro vissuto quotidiano: si tratta di semplici oggetti e di protagonisti del mondo dello sport o dello spettacolo.
Un secondo gruppo è costituito invece da una serie di fotografie aeree di oggetti disegnati in grande scala sulla sabbia che richiamano il negativo fotografico. La superficie della sabbia è infatti colpita dalla luce, mentre il solco lasciato dalle scavatrici è un’ombra scura. I soggetti incisi nella sabbia sono talmente umani, comuni, usuali, ironicamente stereotipati, da diventare quasi delle astrazioni: la pipa, la busta, il calzino, la graffetta, la forbice, gli occhiali, il cucchiaio, la chiave, alla fine sono un po’ dei “giocattoloni”, degli accessori da fumetto, semplicissimi ed esagerati al tempo stesso.
Un terzo gruppo di opere comprende alcuni lavori esposti anche all’ultima edizione della Biennale di Venezia. Si tratta della raffigurazione di fatti storici, attraverso la ricomposizione della volta celeste percepibile nell’istante e dal punto stesso in cui essi avvenivano. Ancora una volta figure tratte dall’immaginario comune, riproposte attraverso l’utilizzo di materiali insoliti: le stelle nel cielo al momento della scoperta dell’America o in quello del crollo del muro di Berlino, sono bolle d’aria cristallizzate nella gelatina.
Infine l’ultima parte della mostra è dedicata alle Carceri d’Invenzione di Giambattista Piranesi, incisore e vedutista del 1700, e ad alcuni bozzetti di ritratti di Rembrandt.
Le linee originarie dei disegni, costituite da incisioni, macchie, tratteggi, scompaiono e vengono sostituite da chiodi, spilli e filo di ferro. Il risultato è un’immagine illusoria, ma solo dopo un’attenta analisi dell’opera rivisitata ci si accorge dell’inganno .
Tutti i lavori proposti sono in definitiva accomunati dal fatto di essere in realtà delle fotografie: il risultato è quindi un interessante intreccio di mimesi, allegorie, realtà vera, immaginaria ed interpretata.
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