Il primo, figura di rilievo nel panorama fotografico italiano, si è sempre mosso su un terreno di sperimentazione visiva, spaziando dal design alla grafica, per esplorare i molteplici livelli espressivi, che coinvolgono l’universo percettivo. E’ la sua tensione intellettiva che lo porta alla fine degli anni Settanta ad avventurarsi in Lucania, dove si serve del mezzo fotografico come strumento di conoscenza e di indagine antropologica.
Il secondo, giovane ed emergente fotografo bolognese, mostra già nella sua prima ricerca, qui esposta e ancora in fieri, la sua attitudine a riflettere sulla fotografia, intesa come mezzo espressivo capace di rivelare il mondo nella sua eterna rappresentazione.
Un comune modus operandi è quindi il sottile filo rosso che permette di svelare le “Analogie” che legano i due artisti.
Nelle immagini di Mario Cresci tratte dalla serie “Geometria non euclidea” e “Accademia”, lo studio della forma, che muta impercettibilmente secondo parametri fissati a priori, è il risultato di un lungo percorso di ricerca e di studio. Quasi ipnotici sono i cerchi bianchi che giocano a deformarsi sullo sfondo nero o le geometriche figure del pavimento che, ritagliate da giochi di luce, vivono di vita autonoma, diventando a loro volta oggetto di indagine. Lo studio del dettaglio diviene esasperato quando Cresci in “Slittamento su Raffaello” scompone l’opera del celebre pittore, restituendo allo spettatore un’immagine assolutamente inedita rispetto alla tradizionale iconografia, ormai parte della coscienza collettiva.
Bianco e nero e costruzione dell’immagine anche negli scatti di Davide Tranchina che in “Safari Metroplitano” sceglie di servirsi del genere del reportage (viaggia su un auto alla ricerca di animali urbani), per poi stravolgerlo negli intenti e nei risultati. Il suo percorso non mira alla registrazione del reale, ma esplora i meccanismi profondi sottesi alla sua rappresentazione. I suoi scatti sono come dittici in cui la città, (fatta di strade, marciapiedi, semafori) è contrapposta a cartelloni pubblicitari, in cui primeggiano animali ridotti a stereotipi. Testimonial inconsapevoli di una comunicazione sempre più invasiva, i protagonisti del suoi Safari ci ricordano che la realtà e la sua proiezione sono così sovrapposte, da confondere lo sguardo dello spettatore.
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