La mostra, invitando a riflettere sulle modalità di crescita della città contemporanea, pone l’attenzione su alcuni quartieri milanesi, tra cui il QT8, il Quartiere Feltre e l’Harrar, costruiti nell’immediato dopoguerra.
Tali esperienze architettoniche si collocano nella specificità dell’esperienza urbanistica post-bellica tesa alla riedificazione di vaste aree della periferia milanese. Si è trattato di momento in cui contingenze storiche e sociali, come la fine della guerra, la crisi degli alloggi, la crescita della popolazione urbana, hanno sollecitato gli architetti responsabilizzandoli non solo sul piano prettamente professionale ma anche e soprattutto su quello etico-ideologico.
Se da un lato, infatti, la ricostruzione è una formidabile occasione per sperimentare (sull’onda della lezione dell’ormai consolidato “Movimento Moderno”) nuove formule abitative, nuovi materiali,
La particolarità di questi nuovi luoghi urbani sta proprio nella dimensione collettiva del quartiere concepito come un insieme organico di abitazioni, attrezzature, spazi verdi, servizi, teso a creare piccole comunità all’interno della più grande comunità cittadina.
Di particolare importanza in tal senso sono le esperienze “INA casa” (Istituto Nazionale Assicurazioni) e IACP (Istituto autonomo case popolari); pubbliche committenze che affidano agli “architetti del momento” la realizzazione di nuovi quartieri autosufficienti. La legge istitutiva dell’Ina Casa del 1949 sancisce appunto una serie di “provvedimenti per incrementare l’occupazione operaia, agevolando la costruzione di case”.
La mostra avvicina all’utopia del quartiere autosufficiente, della dimensione comunitaria, della “casa per tutti” invitandolo a riflettere sulla crescita disordinata ed individualistica della città di oggi e sottolineando le modifiche e gli accorgimenti con cui a distanza di cinquant’anni i quartieri-modello sembrano adattarsi al tempo che cambia (logge aperte che vengono chiuse, parcheggi sotterranei, piccole aggiunte di “accessori” esterni come ascensori o pensiline).
Per evitare la costruzione di un’idea faziosa i punti di vista proposti sono molteplici. Nonostante questo l’esposizione propone una serie di suggestioni molto efficaci, ma anche molto parziali.
Sorgono alcune perplessità: che ne è del degrado, fisico e sociale e dello stato d’abbandono in cui versano oggi molti di questi quartieri? Del fallimento dell’idea stessa dei “quartieri autosufficienti” trasformatisi ben presto in “quartieri dormitorio”? Che ne è del totale cambiamento dei presupposti politici e sociali in cui versa questa realtà di oggi?
elena demartini
mostra visitata il 27 gennaio 2003
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