Peter Halley (New York, 1953. Vive a New York) ha raggiunto la notorietà negli anni ’80. E’ pittore, teorico dell’arte, impegnato nello studio dei fenomeni sociali. Scrive, insegna e nel 1996 ha fondato con Bob Nickas la rivista Index Magazine.
Principio ispiratore delle sue opere è la concezione della geometria come strumento per spiegare la società in cui viviamo; idea che Halley trae dalle opere del filosofo Michel Foucault, che per primo evidenzia l’analogia tra la geometria e il carattere della società industriale. La geometria definisce e limita la nostra quotidianità.
Le sue composizioni vogliono mostrare l’essenza delle metropoli americane. Piante squadrate, strade che s’incrociano ad angolo retto, cunicoli che corrono sotto il livello della strada fungendo da raccordi sotterranei. Ma non l’atteggiamento entusiasta di Mondrian (1872-1944), al quale solo in apparenza le opere di Halley sembrano ricondursi. Nel 1917 Mondrian scrive “…nella metropoli il bello si esprime in modo… matematico; essa è il luogo nel quale può svilupparsi il temperamento artistico matematico dell’avvenire”. Il punto di vista di Halley è completamente diverso: la geometria è quella delle celle squadrate chiuse da sbarre, è la prigione di uffici anonimi, di strade che conducono a tutto, ma non portano a niente. L’uomo è prigioniero di ciò che ha costruito. Geometrici sono i circuiti, i microchip dei computer: geometria come metafora di internet che consente di raggiungere ogni cosa lasciando però l’uomo chiuso nella sua cella, collegato con tutto, ma da tutto lontano. Alienato e solo.
Le dieci tele presenti in mostra sono affascinanti
L’arte di Halley è profondamente concettuale, difficile e intellettuale. E’ un grido d’allarme che denuncia la progressiva alienazione della nostra società. L’artista ha il compito di sollecitare le coscienze perché l’uomo non deve mollare, non può rinchiudersi. Scrive Halley: “In questo momento di incertezza e di ansia, vorrei anche convincere ciascuno che il futuro della cultura è sempre nelle nostre mani. Solo insistendo con tutto il nostro sforzo potremo essere certi che la cultura non solo sopravviva, ma anche rifiorisca”.
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