Del giovane Francesconi (n. Mantova 1979) si ricordano, recentemente, la partecipazione alla collettiva “Generator”, tenuta al Trevi Flash Art Museum a cura di Gea Politi ed una performance organizzata a Milano, in occasione del Milano Film Festival, alla chiesa sconsacrata degli Angioli, il 17 settembre scorso.
L’odierna mostra presso la Galleria Carasi di Mantova si presenta come una sorta di ricapitolazione delle ultime esperienze dell’artista che dall’indagine chirurgica dei moti dell’animo umano, dall’isolamento di sensazioni e sentimenti, è giunto ad interrogarsi sul rapporto tra arte e società affermando la necessità della presa di responsabilità dell’artista nei confronti della società e del mondo. Nel video “I don’t love you anymore” (ca. 2 minuti che possono essere visionati in galleria) Francesconi stringeva l’inquadratura di una telecamera fissa su una coppia di ragazzi sulle montagne russe, registrandone ogni emozione ed ogni riflesso fisico durante la paurosa traversata ed ottenendo di amplificare ogni grido di paura o gesto di reciproco conforto, la ricerca di protezione, l’attesa trepidante e l’abbandono ed il rilassamento compiaciuto. Nella performance milanese Luca invece aveva coinvolto il pubblico in un dialogo silenzioso: sullo sfondo di un enorme castello di carte, metafora dell’opera d’arte “pubblica” ed insieme simbolo di fragilità ed instabilità, l’artista si era seduto di fronte agli spettatori, prendendo pazientemente a bere alcolici fino ad ubriacarsi, per poi riprendere a cimentarsi vanamente con la messa in equilibrio delle carte da gioco.
Lo stato di offuscamento dei sensi è stato, per l’artista, un gesto di necessaria mortificazione del corpo per raggiungere uno stato fisico e mentale idoneo a prendere consapevolezza della propria debolezza ed incapacità di affrontare la caducità, l’instabilità, la precarietà delle cose e delle azioni umane. Ma nello stesso tempo Luca rivendicava la capacità dell’artista di battersi contro i mulini a vento, di sperimentare e mettersi sempre in discussione, con l’obiettivo di migliorare la propria capacità di relazionarsi con il pubblico e trasmettere il proprio messaggio. Poco importa il successo (in fondo l’impossibile raggiungimento della perfezione creativa divina), ciò che conta realmente è la continua sfida con se stessi, il perseguimento di un modello, l’anelito a concretizzare, nell’opera d’arte, il fine ideale stabilito come naturale sbocco al raggiungimento di uno stato di elevazione spirituale.
Francesconi interpreta perfettamente il suo momento storico e annuncia una nuova svolta dell’arte: “Necessario adempimento di un obbligo sociale” restituisce all’arte, sotto la forma di un impegno morale dell’artista, la sua capacità di interazione con la realtà e il potere di creare opere/medium che sappiano dialogare con la società, rivendica in fondo il potere di farsi interprete della contingenza restituendo la profezia del futuro.
Dopo gli anni ’70 abbiamo vissuto un periodo di intorbidimento delle passioni politiche collettive e delle ideologie. Oggi la parentesi post-moderna annuncia la sua crisi, concomitante con l’insorgere di nuove ideologie e di sentimenti di responsabilizzazione sociale: potremmo citare il movimento anti-globalizzazione, lo scontro tra le culture, il coinvolgimento mondiale rispetto alle guerre di religione, le istanze di popoli e tribù sociali per ottenere il riconoscimento della propria identità. Le piazze tornano a riempirsi per affermare idee condivise come non accadeva da anni. E allora Francesconi, nel pieno della bufera internazionale e mentre spirano i venti di guerra fa un giusto appello all’arte affinché ponga le basi per affrontare criticamente il delicato momento storico; toglie l’arte dalla sua algida purezza e le chiede di tornare a mettersi in discussione. E lo fa facendo appello a tutti gli strumenti comunicativi dell’arte: l’azionismo e la performance, la pittura ed il disegno, la fotografia, l’installazione pubblica.
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Ho colpevolmente trascurato di segnalare, tra i recenti impegni dell'artista, la presenza alla Biennale di Tirana. Faccio pubblica ammenda.