Varcata la soglia della Galleria Lia Rumma a Milano, sullo sfondo di una parete bianca, si scorgono immagini in movimento che sembrano sfondare la parete; individuato il punto di fuga, il campo visivo dello sguardo si restringe e zooma su di un box con l’anta aperta, grande quanto l’armadietto di una farmacia. Dentro scorrono immagini, scene animate, disegni tripartiti in fasce orizzontali sovrapposte sullo sportello di vetro, il sottofondo musicale incanta, e come le note del flauto di Orfeo ha un effetto ipnotizzante. Così lo spettatore, osserva e sogna, e tanto più guarda, tanto più si astrae dall’immagine, perdendo i contatti con la realtà.
Intorno, fanno da coro una serie di disegni relativi al video appesi alle pareti, incisioni e sculture in bronzo, arazzi e disegni realizzati su pagine di vecchi libri disposti in una bacheca.
La videoinstallazione, presentata per la prima volta nella sede milanese, è di William Kentridge (classe 1955) ed è intitolata Medicine Chest, da lui stesso definita “screen specific”.
L’opera è una scatola magica che sovrappone immagini evocative e metaforiche, dove tradizione e innovazione si fondono in una mirabile sintesi tra le cancellazioni d’immagini e il segno che il tratto lascia sul foglio dopo la sua cancellazione, creando stratificazioni della memoria, dissolvendole negli effetti chiaroscurali in movimento, difficili da raccontare.
Nel video Medicine Chest, appaiono sagome di uomini che si trasformano in piccole sculture in bronzo, che poi si moltiplicano rapidamente, muovendosi e sovrapponendosi a due arazzi con figure nere, come “incise” su mappe geografiche, ispirate a due epoche della storia delle conquiste (da Alessandro Magno alla Spagna coloniale), al suo ritratto, a nature morte di frutta e brocche alla Cezanne o dal tratto sintetico alla Morandi degli anni ‘50, primi ‘60.
Kentridge rivisita la tecnica sofisticatissima dell’incisione, utilizzando al posto di lastre di rame, fogli di acetato sovrapposti per ottenere indescrivibili “videografiche”, incisioni animate che incantano anche gli sguardi più ostili alle videoinstallazioni.
L’artista, multidisciplinare, vive e lavora a Johannesburg ed è figlio di un avvocato che difese le famiglie delle vittime di un massacro avvenuto nei sobborghi di Sharpville nel 1961.
Ha esordito nel 1967 come attore, regista e scenografo ed è noto a partire dalla “X Documenta” di Kassel; nelle diverse personali si è presentato con originalissimi cortometraggi di animazioni, disegni a pastello e a carboncino dal segno nero pece o grigio petrolio, vibrante e drammaticamente espressionista.
Le sue tematiche storiche e sociali indagano l’uomo contemporaneo, le lacerazioni e le contraddizioni di una civiltà che nonostante la tecnologia vive nella “banalità del male”, all’insegna del disimpegno etico e civile.
L’eredità di Rembrandt, Goya, Otto Dix e Kathe Kollowitz, che denunciarono l’orrore della seconda guerra mondiale, sviluppa un segno potente e raffinatissimo, d’impatto emozionale coinvolgente senza scadere nella retorica.
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kentridge mi ha stregato tre anni fa alla biennale di venezia... e la mostra alla galleria rumma si puo' considerare una delle "chicche" da visitare assolutamente. credo che kentridge sia uno dei pochi artisti che ha saputo confrontare la forza espressiva del segno che si evolve sulla carta, con il ritmo narrativo del video.