Riconosciuta ormai da tempo l’importanza del fumetto nel mondo delle arti figurative, grazie ad un processo di rivalutazione ormai trentennale, questa forma di comunicazione è stata usata, e continua ad esserlo tutt’oggi, per raffigurare in modo diretto ed immediato, la realtà della vita quotidiana.
Il percorso espositivo è stato concepito come una sorta di climax ascendente: mano a mano che si procede nella visita salta immediatamente all’occhio, infatti, come le opere, anche quelle che appaiono più “disimpegnate”, riflettano invece profondamente sul nostro tempo, puntando il dito, per esempio, su alcune piaghe della società, come l’apartheid, il razzismo e il disagio giovanile.
All’inizio della mostra si incontra subito il segno inconfondibile di Jean-Michel Basquiat, uno dei protagonisti della Graffiti Art dei primi anni ’80: le due opere esposte, dal sapore vagamente hip-hop, mescolano elementi visivi africani con oggetti appartenenti all’universo delle megalopoli. Non è estraneo a questa commistione di generi nemmeno Keith Haring, l’artista che con un tratto incisivo è riuscito a portare il fenomeno del graffitismo sintetico e della street culture dal sapore tribale all’interno delle gallerie dei musei di tutto il mondo. La cultura del fumetto è anche cultura pop, il cui humor è ben espresso da due grandi interpreti: il newyorkese Roy Lichtenstein con i suoi disegni popolati da immagini stereotipate ed eroi anonimi; ed Andy Warhol, figura ormai mitica non solo dell’arte, ma anche del panorama filosofico-culturale di fine secolo, grazie ad un’acuta riflessione sulla civiltà dei consumi e sulle sue mitiche icone. Di quest’ultimo è possibile ammirare l’esplosione cromatica di Vesuvius, tela datata 1985. Degna di menzione è poi la videoinstallazione di Georgina Starr, artista presente anche alla Biennale di Venezia, che attraverso le molteplici possibilità espressive della videoart dà voce alla complessità del mondo urbano facendone esplodere visivamente i conflitti psicologici e sociali.
Cinzia Tedeschi:
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