Nella seconda metà del XIX secolo Parigi era per ogni artista un irresistibile polo d’attrazione. Rappresentava una sfida e una grande opportunità, la possibilità di confrontarsi con le idee più innovative. Federico Zandomeneghi (Venezia, 1841- Parigi, 1917) vi giunse nel 1874; conobbe Degas al quale lo legò una ‘litigiosa’ amicizia e fu da lui coinvolto nel clima della Parigi impressionista, dei teatri e dei boulevards, delle discussioni tra artisti nei caffè.
Con pastelli, oli su tela, disegni a matita e carboncino l’esposizione documenta Zandomeneghi impressionista non solo nel segno di Degas e Renoir, anche se questi furono i suoi principali punti di riferimento. Il veneziano, come rileva la curatrice Tulliola Sparagni, esplorò diverse correnti dell’impressionismo. Sperimentò la pittura en plein air dell’impressione fuggevole della luce (A pesca sulla Senna), il segno sintetico e incisivo di Degas e le novità di Cezanne ne Il paradiso terrestre (senza convincere, l’opera appare piuttosto goffa); osò la riduzione dell’immagine a forme stilizzate e piatte (Le Moulin de la Galette), che sarà di Toulouse Lautrec.
Aderì all’impressionismo come “impulso ad osare in modo nuovo in fatto di tagli compostivi, …di nuovi temi della vita contemporanea, centrati sulle folle dei caffè e dei giardini…;[impressionismo come] aderenza del pittore alla vita in atto, il superamento di quelle astrazioni figurative che obbligavano il modello ad assumere…atteggiamenti avulsi dalla realtà” (Cinotti). Alla pittura di luce di Monet preferì lo stile di Degas e Renoir, che aveva il disegno come base fondante.
La mostra evidenzia uno Zandomeneghi più vicino a Renoir che a Degas. I temi sono quelli che anche Renoir prediligeva, tratti dalla vita quotidiana con un’assoluta prevalenza di figure femminili. Signore in abiti eleganti che conversano (Il Tè, pastello con ricercati effetti cromatici), che leggono nella quiete di una stanza (La rivista di moda), impegnate negli atti quasi rituali della toilette (Allo specchio). I volti ovali incorniciati da capelli raccolti in morbidi chignon ricordano Renoir; come
Da Degas, il veneziano deriva l’originale taglio fotografico delle sue opere, le pose di spalle o di tre quarti delle modelle, delle quali spesso si intravede solo il profilo; Fanciulla in azzurro di spalle è un saggio della capacità del pittore di “declinare le diverse tonalità sfumate dell’azzurro” (Bignami). Il colore è steso a tratti e filamenti, con pennellate fitte e spezzate che non sono ancora divisioniste. “Nel colore Zandomeneghi resta italiano, anzi veneziano…. i suoi colori non hanno nulla a che fare con il colore magro, avaro di Degas” (Piceni).
Manca a Zandomeneghi l’audacia compositiva di Degas che ignorava piani e prospettive e definiva lo spazio con superfici che si sovrappongono. Anche quando il tema è quello della ballerina (uno dei preferiti di Degas) il risultato è molto diverso. Si osservi Visita in camerino; Zandomeneghi rappresenta l’attimo (privato) di una conversazione, con il tulle dell’abito che, come la neve degli ‘impressionisti coloristi’, è il pretesto per giocare con le ombre colorate e il bianco che non è mai tale. Ben diversa la forza di Degas che ricava “prospettive sorprendenti dal tema delle ballerine, attraverso eccentrici studi di movimento…spostando il baricentro dall’osservazione all’invenzione” (Growe).
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