Categorie: milano bis

Nuovi spazi della visione

di - 2 Maggio 2002

Le modalità comunicative dell’architettura corrono parallelamente ai messaggi della nostra epoca elettronica, ricercando ed elaborando modelli rappresentativi sempre più metaforici legati alla dimensione creativa digitale.
L’onnipresenza delle immagini, che caratterizza la cultura e lo spirito del nostro tempo, ci spinge a riflettere su alcune forme espressive del progetto di architettura che sperimentano e ricercano intersezioni tra il naturale e l’artificiale verso l’ideazione, e quindi attraverso la rappresentazione, di una nuova “fauna di oggetti”: opere contemporanee per una società transculturale.
Apparentemente privo di riferimenti alla storia, lontano dai linguaggi grafici consolidati, il disegno di architettura è alla ricerca di valori espressivi che rimandano ad altro da sé. Rappresentare al di là del vero, del misurabile, nascondere e mostrare, sono alcune delle vocazioni tipiche delle più radicali rappresentazioni; immagini dai molteplici valori espressivi dove è difficile ritrovare tradizionali riferimenti iconici e simbolici. Fondata sulla leggerezza, sulla trasparenza, su un più coinvolgente rapporto fra il corpo e lo spazio, l’architettura di oggi instaura un rinnovato rapporto con l’ambiente attraverso un mutevole scambio di informazioni fatto da continue interconnessioni. Del resto l’architettura, considerata anche come comunicazione, ricerca proprio nella rappresentazione il suo naturale potenziale espressivo; come medium di conoscenze, come rivelazione del reale e dell’immaginario, come ricostruzione storica di cose e idee. Parallelamente alla mutazione dell’arte, che si appropria della socialità urbana e perfino del non-spazio della realtà virtuale grazie ai nuovi vocabolari dell’era digitale, in architettura la trasformazione riguarda il mutamento di ruolo dell’edificio in rapporto alla crescita incontrollata della città, il suo significato di possibile permanenza in un contesto di continuo mutamento, la ricerca di una soluzione di fronte alle contraddizioni provocate dal rapporto tra le tradizionali caratteristiche di stabilità e rappresentatività e le dinamiche del contesto della città e delle necessità dei suoi abitanti. L’Uovo dei venti a Tokyo, una “galleria-video all’aria aperta” progettato da Ito nel 1989 per gli abitanti di “River City”, rappresenta un altro esempio in questa direzione. L’uovo tecnologico, rivestito da pannelli in alluminio traforato, attraverso schermi comunica immagini dal suo interno che si sovrappongono a quelle che la città proietta sul suo guscio. E’ un’architettura mutevole per la città del futuro, uno spazio espositivo in una “stazione spaziale” ormeggiata in un centro residenziale, che diffonde informazione e arte. L’immagine che traspare dell’affascinante Rachel rimanda al film-culto Blade Runner ed esprime pienamente la paura collettiva della città contemporanea, consolidatasi soprattutto negli anni ‘80; metropoli polietnica e polilinguistica, enormi neon che, muovendosi sopra contaminati labirinti di uomini allo sbando, pubblicizzano illusori viaggi in luoghi lontani e incontaminati. FOTO 08
La mostra su Jean Nouvel, che dal Centre Georges Pompidou di Parigi è approdata alla Triennale di Milano, rivela oggi la possibilità di inventare un altro modo di percepire e trasmettere architettura: senza modelli in scala, disegni tecnici, schizzi autografi, ma attraverso articolazioni mediatiche come videoclip e grandi rendering, fotografie degli edifici a grandezza naturale, che, ricreando intero lo stupore di chi li visita davvero, mostrano come essere e apparire non siano più moralisticamente in contrasto. Lasciando da parte lo sterile intellettualismo, Jean Nouvel mostra come il grande architetto sappia muoversi con eleganza tra i due caratteri estremi del dilemma contemporaneo: reale e virtuale.
Se “virtuale” può essere il suo modo di esprimersi, “reale” è sicuramente ciò da cui coglie spunti e visioni per ogni suo progetto. Lo suggerisce anche la colonna sonora di questa importante mostra: i rumori e i boati di uno stadio, lo scalpiccio dei passi, le grida festose di bambini o di rondini che volano, le voci di mercato e di strada.
Nel momento in cui le altre discipline artistiche hanno instaurato un rapporto di scambi intensi con il nuovo sistema tecnologico, l’architettura non viene più considerata una disciplina a sé stante, legata solo alle proprie regole. Il contesto sociale e urbano contemporaneo è troppo complesso perché un singolo ordine di regole sia valido. «Non possiamo creare edifici per il futuro basandoci sulla sola storia dell’architettura.» ha dichiarato «le rivoluzioni e le evoluzioni tecniche e culturali del Ventesimo secolo lo hanno provato.»
Nouvel lavora assaporando il mondo che lo circonda, senza barricarsi dietro lo steccato di una disciplina, rivolgendo la sua sensibilità verso i fenomeni emergenti del mondo contemporaneo, creando per ogni ambito, reale o virtuale, il luogo per le sue architetture. È così che ogni volta con rinnovata meraviglia ritroviamo la sua Tour Sans Fin nel film di Wim Wenders: un’architettura per la realtà che ha trovato spazio nel mondo virtuale del cinema. Il cinema che ci mostra qualcosa che nel mondo reale è ancora solo virtuale, ma che nella realtà filmica è concreto.
«Il cinema dà un’immagine vera dell’architettura del XX secolo, un’immagine in cui essa si può riconoscere e apprendere qualcosa di sé», questo il concetto che Jean Nouvel e Wim Wenders condividono da anni.
Perché il cinema è molte cose: accanto al film conoscenza c’è il film spettacolo, entrambi possono servire ad esplorare i meccanismi, ad analizzare i modi di costruzione della realtà. L’ambiguità del mondo delle immagini è oggi tale che molti hanno creduto che il fotomontaggio di presentazione del progetto della Tour fosse una fotografia vera. Questa torre circolare in vetro, che risulta sempre più trasparente col crescere in altezza, edificio da non notare, in contraddizione con la nozione corrente di grattacielo, non fu costruita per motivi economici. Una triste conferma della frequente affermazione di Jean Nouvel sul fatto che nella città moderna entrano in gioco diversi fattori oltre all’architettura e all’urbanistica. Secondo l’architetto, oggi più che mai, l’architettura non può fare economia d’analisi e ricerca; il progettista deve inserirsi in un mondo globale, incontrare gente, conoscere, attraverso i viaggi, il mondo in cui vive. Ed è proprio questa filosofia di vita che ha portato il suo operato ad interagire con filosofi, scenografi, sociologi e altri personaggi di elevato calibro in maniera organica, senza circondarsi esclusivamente di architetti o dei soliti “addetti ai lavori”. Il suo compito, dopo una lunga fase di studi approfonditi e di attenta sperimentazione, rimane quello della sintesi finale.

Elisa Ferrato

[exibart]

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  • devo dire che questo testo e' assolutamente straordinario. Chi l'ha scritto e' la miglior testa pensante di cui abbia avuto l'onore di leggere qualcosa nell'ambito dell'arte e dell'architettura.

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