Il Museo Butti ospita la personale di Fernando De Filippi, presentando undici opere tra sculture, disegni, installazioni e dipinti, realizzati dal 1985 ad oggi.
Dopo un esordio, nei primi anni Sessanta, legato alla pittura fotografica e alla performance, con contenuti fortemente ideologici (Lenin mito, 1972 o Sostituzione, 1974), seguito da un periodo più concettuale, intorno ai primi anni Ottanta, De Filippi prende distanza dall’impegno per riflettere sulla propria cultura e riscoprire la tradizione artistica: riparte dalle origini, dal Mediterraneo (l’artista è originario di Lecce), dall’antica civiltà greca e romana.
Da qui il richiamo all’antico, al mondo iconografico della mitologia e della sua rappresentazione, alle grottesche e ai templi, che in quegli anni vengono ripresi, trasformandosi in scenografiche cornici sagomate e dipinte con la tecnica del finto marmo, che inquadrano composizioni d’enigmatiche figure su sfondi, bianchi o dorati. Templi stilizzati, colonne e timpani aggettanti, che diventano teatri: boccascena, dai quali vediamo apparire simboli e figure allegoriche, rappresentazioni di un’antichità idealizzata, fantastica. E’ evidente la sensibilità scenografica dell’artista, che ha insegnato Scenografia all’Accademia di Belle Arti di Brera, della quale è direttore dal 1991. Un gusto per la spettacolarità che si manifesta anche nelle sue recenti installazioni pavimentali e parietali (Costellazione dei dolci sogni, 1989) e nei monumenti pubblici come Il tempio dell’ulivo nei Giardini Pubblici di Martano (Lecce) o La Costellazione di Re Sale, in Piazza del Mediterraneo, a Bari.
La riproposizione dell’antico è una ricerca della bellezza attraverso l’evocazione disincantata dell’antichità classica, in chiave personale e pressoché manierista, filtrata attraverso una sensibilità e una cultura contemporanee che risentono delle ricerche precedenti, trasformandola in linguaggio attuale che rifiuta il mero citazionismo. Il recupero non
riguarda solamente l’iconografia, ma anche le tecniche: De Filippi riprende la perizia esecutiva, in omaggio alla bella maniera della nostra tradizione, l’utilizzo dell’oro, dell’argento, delle tecniche della decorazione scenografica – il finto marmo – anche se con colori acrilici e utilizzando strumenti come l’aerografo.
Gli elementi iconografici ricorrenti (stelle, alberi, particolari architettonici – colonne e timpani – creature mitologiche, simboli geometrici che rimandano agli emblemi massonici) non nascondono una simbologia arcana e non aspirano a ricostruire un programma iconografico, una simbologia precisa, ma sono la riattualizzazione d’immagini del nostro passato,
ricombinate in modo inedito e fantasioso, a discrezione dell’artista: “Salvare la propria memoria vuol dire salvare noi stessi e coloro che sono in grado di captare e decodificare il messaggio dell’artista/mittente/naufrago, in procinto di lanciare l’ultimo SOS” e ancora “Sviluppare la pratica della memoria e racchiuderla nel suo teatro può spesso significare il recupero delle chiavi di lettura di nuovi codici, la conoscenza del reale, della quotidianità attraverso la verifica del rapporto continuo tra passato, presente e futuro che sono impliciti nella stessa logica della classificazione o della conservazione del pensiero”.
Il titolo della mostra, “Carte d’Oriente”, prende spunto da due recentissimi lavori, del gennaio e marzo di quest’anno, Autobiografia e Il poeta Cieco, realizzati a china su carta e cartoncino di riso, acquistati dall’artista durante un viaggio in Oriente. Grandi disegni che raffigurano alberi nel cui fogliame si materializzano e prolificano, come in un sogno, figure mitologiche libere dalle cornici scenografiche dei finti templi.
Questi lavori segnano un’ulteriore riflessione dell’artista sull’antico e sul proprio percorso recente: un metalavoro liberato dalla dimensione scenografica, per tornare alla purezza del disegno.
In mostra è esposto anche il progetto per una scultura da realizzarsi prossimamente nel Parco del Museo Butti. L’opera, intitolata L’enigma metafisico, verrà realizzata con pietre locali e si offre come un intervento ambientale che aspira ad inserirsi nella tradizione della zona,
che vanta una lunga esperienza dell’artigianato lapideo.
La mostra è corredata da un catalogo, a cura di Luisa Somaini, che ripercorre gli ultimi quindici anni d’attività dell’artista, con un discreto numero d’illustrazioni, in bianco e nero e un’esaustiva nota biografica.
Rossella Moratto
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