Le tempere su carta di Merati rispondono all’asserto di Guttuso, secondo il quale l’opera d’arte è sempre testimonianza di una situazione umana e gli uccelli, le trombette, i cactus, le turbine, gli areoplanini del Merati ci consegnano un documento umano crudo ed eloquente. Pittura grezza, prorompente, istintiva, che risulta naturale collegare a tanto primitivismo dell’arte contemporanea e in particolare all’Art Brut, che ha trovato nel geniale Jean Dubuffet il teorico e il promotore del Museo di Losanna, antesignano del “The American Visionary Art Museum” aperto a Baltimora dal 1995.
Emarginati e dolenti, spesso analfabeti e inconsapevoli di norme e consuetudini, gli artisti “bruti” aprono uno spiraglio sulle pulsioni più nascoste dell’inconscio, le fanno materia attraverso un’espressione primordiale, non corrotta dal filtro dell’intellettualismo.
Ma in fondo questa urgenza di esprimersi, tanto selvaggiamente urlata, non recupera all’arte le sue dinamiche più originali e feconde, connaturate all’arte tout court, che è sempre trasfigurazione della realtà sotto la lente di un occhio bambino o folle, come è proprio dell’artista che in sé sintetizza le due situazioni?
Certamente la follia segna la vicenda umana di Tarcisio Merati, nato a Bonate Sopra, in provincia di Bergamo da una famiglia disagiata e vissuto per venticinque anni nell’Ospedale Neuropsichiatrico provinciale di Bergamo con la diagnosi di schizofrenia delirante, mitomania; in manicomio, nel 1975, Merati scopre la pittura e il suo mondo cambia per accogliere nuovi strumenti e nuove forme di comunicazione: a chi gli chiede perché sia ricoverato, Merati risponde che è stato per consentirgli di scrivere e dipingere e non è casuale che la sua produzione abbia una parentesi di sette anni, dall’ ’83 al ’90, nel periodo in cui vive in casa della sorella.
Il “matto” Merati guarda al mondo con la carica emotiva del bambino, che misura lo scacco tra il suo Io megalomanico e la realtà e, non sapendolo razionalizzare, lo simbolizza in figure, colori, immagini ingenue. Come un bambino, muove dalla realtà popolata di farfalle, trenini, macchinette per scoprire che con l’immaginazione è possibile non già evadere, ma costruire nel mondo migliore, che lui stesso crea ed esplora e vi accede secondo associazioni e catene semantiche in cui è lui a dare significato alle cose che da sole non esprimono nulla.
Folle e bambino, Merati è certamente artista, anzi artista proprio per questo, dotato di straordinario talento pittorico e di intensa sensibilità poetica: i suoi quadri mescolano oniricamente pensiero magico ed elementi di realtà , frammenti spontanei e mesti ricordi d’infanzia, coloratissime suggestioni e affascinanti geometrie. Uno stupore coinvolgente che rinvia sempre ad uno stato di sofferenza.
Oggi il ricordo di Merati prosegue grazie all’opera di una Fondazione a lui intitolata, che organizza la mostra delle sue opere e punta, con i proventi delle vendite, a realizzare un atelier di pittura per malati di mente, affinché altri ospiti possano in tal modo esprimere la loro ansia di creatività e liberazione.
(Dal comunicato stampa)
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