Interrogarsi sul valore della fotografia non come carattere documentario ma per il suo valore filosofico e vitale che incontrando l’esperienza dell’esistenza la trasforma in pensiero. Fotografare non come registrazione del reale, ma come atto cognitivo in grado di prospettiva sul mondo.
I tre maestri della fotografia italiana riflettono l’intento di trasformare la fotografia in un atto mentale che innesca all’immagine riprodotta qualcosa di altro. Come in un viaggio intellettuale e poetico le fotografie diventano degli “equivalenti”.
La mostra “Atlanti – Luigi Ghirri, Olivo Barbieri, Francesco Jodice” ospitata alla Galleria Bianconi di Milano mette a confronto tre diverse generazioni di fotografi partendo dalla serie Altante del 1973. Presentata per la prima volta dopo molti anni l’intero corpus di Luigi Ghirri, costituito dalle venti immagini, ripercorre il giro del mondo attraverso la macchina fotografica e le pagine di un atlante. L’album di famiglia e gli atlanti, secondo quanto scritto dall’autore stesso, «contenevano le categorie del mondo e lo rappresentavano come io lo intendevo». Come la serie Equivalent di Alfred Stieglitz le fotografie di Ghirri cercano di evocare un percorso intimo, un tracciato di vita vissuta attraverso i luoghi della storia e i luoghi familiari in una continua oscillazione fra interno ed esterno.
Proprio dal progetto di Luighi Ghirri nasce questa mostra in cui il mapping si contrappone alla continua ricerca di identità.
La fotografia è per Francesco Jodice, il più giovane dei tre, testimonianza di un tempo; è il congelamento di un evento scaturito da desideri non sempre condivisi. La sua è un’indagine sui mutamenti del paesaggio sociale e contemporaneo legate alle nuove forme di urbanizzazione. Indagando il paesaggio come frutto dei desideri secondo un dinamica che comprende motivazioni politiche, economiche ed estetiche, ritrova nelle immagini del mondo lo specchio delle società e quindi delle sue mutazioni. The Searchers, Il Cairo o The Pantom Riders, Detroit del 2014 appartenente ai cicli What We Want e Primo Lavoro (quest’ultimo presentato in anteprima alla Galleria Bianconi lo scorso anno) sottolineano l’ambiguità tipica del mezzo fotografico celando la sua vera natura e impregnandosi di mistero.
Insegne, scritte e immagini pubblicitarie, fumetti, oggetti stampati, appartengono tutti al linguaggio di Olivo Barbieri che non fissa la fotografia in un codice rigido. Pur appartenendo allo stesso medium si costruiscono attraverso metamorfosi, amplificazioni e libere associazioni. L’intento è distogliere lo sguardo da una unica visione sottoponendola a continue verifiche. L’immagine “Pop” dispiega qui un universo di forme e colori che svelano memorie collettive e individuali in cui identificare una cultura. Come nella serie Flippers realizzata nel 1977-78 attraverso i quali è possibile «ridisegnare la storia del secolo passato» e in cui c’è «tutto l’immaginario della modernità, dai cow-boy alla fantascienza, dai dinosauri ai Beatles, dalle pin-up ai clown, dal deserto alla città tentacolare…» come afferma Barbieri.
Un viaggio nella storia attraverso mappe, iconografie e atlanti che si ridefiniscono continuamente, come la fotografia, alla ricerca della propria identità.
Sara Marvelli
Mostra visitata il 3 settembre 2015
Dal 24 giugno all’8 settembre 2015
Luigi Ghirri / Olivo Barbieri / Francesco Jodice – Atlanti
Galleria Bianconi,
via Lecco 20, Milano