“Improvvisamente, senza alcun segno premonitore, abbandonò il figurativo per l’astratto, il mestiere per la fantasia, il certo per l’incerto. Il tema da lui scoperto – questo artiglio, questo tridente, questa mano, questa forca – è già uno stile. Egli lo piega ai suoi umori, gli imprime le sue fantasie, lo calma, lo esaspera, lo scatena, l’addormenta, lo perseguita, l’asseconda. Dopo Mondrian non ho mai visto un’unione così intima e tenace di uno stile personale e di un tema”. Con queste parole, Michel Sephour riconosce il carattere dirompente della svolta che Giuseppe Capogrossi (Roma, 1900-1972) diede alla sua ricerca artistica sul finire degli anni Quaranta, quando una E con il suo tratto sinistro arrotondato divenne elemento modulare, segno grafico costante dei suoi lavori.
Alla ricerca astratta dell’artista romano, uno dei più importanti Maestri del secolo scorso, è dedicata la rassegna in corso presso la Fondazione Bandera per l’arte di Busto Arsizio, dove è esposto, fino a domenica 1
I lavori in mostra documentano le infinite variazioni dell’inconfondibile linguaggio capogrossiano, la sua capacità di modificarsi continuamente pur partendo da un modulo fisso. Dalle tele emergono delle forme di fattezza arcaica, simili a disegni rupestri di straordinaria semplicità e bellezza, dal cromatismo raffinato. Una crittografia di segni primordiali neri e rossi su sfondo bianco caratterizza, per esempio, “Superficie 141” (1955), che fu presentata per la prima volta alla VII Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma. In mostra viene poi proposta anche “Superficie 1/A” (1950), una delle opere che l’artista romano espose alla sua personale alla Galleria del Secolo di Roma, nel gennaio 1950.
La rassegna su Giuseppe Capogrossi fa da viatico per l’esposizione, curata da Alberto Fiz e Beatrice Buscaroli, che è allestita al secondo e al terzo piano della Fondazione Bandera per l’Arte di Busto Arsizio. Otto tra i più significativi esponenti dell’astrattismo italiano contemporaneo – Arcangelo, Gianni Asdrubali, Tommaso Cascella, Luigi Carboni, Gianni Dessì, Roberto Floreali, Paolo Iacchetti e Marco Tirelli – propongono una quarantina di lavori, realizzati intorno agli anni Novanta. Questi artisti, nati quasi tutti intorno al 1950, sono accomunati da una medesima sensibilità che li porta a realizzare una pittura aniconica, inquieta, frammista ad elementi simbolici. Le tracce della memoria vengono recuperate nelle ricerche di Arcangelo, Tirelli e Floreani. Per Arcangelo il segno è spesso interpretato come apparizione romantica di un mondo lontano; Floreani
Asdrubali dilata la superficie pittorica sino a farle contenere la totalità dello spazio, mentre Iacchetti utilizza il colore come corpo vivo che conquista gradatamente la dimensione temporale e spaziale. Cascella scrive racconti invisibili che passano attraverso frammenti di corpi e paesaggi, Carboni invece fonde scultura e pittura, rivelando l’ambiguità della natura. Per Dessì, infine, che in questa mostra, insieme a Tirelli, rappresenta l’esperienza della cosiddetta Nuova Scuola romana, il croma rimanda ad una dimensione simbolica e misteriosa che attraversa universi poetici e luoghi dell’inconscio.
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