Quando si sarà infine guadagnata maggiore freddezza di sguardo sulle cose dell’arte definitesi a partire dalle avanguardie varie del secolo scorso, risulterà forse di qualche interesse verificare meglio lo sforzo straordinario compiuto nel corso del tempo dalla scultura per mantenere una propria autonomia e, sia concessa l’anomalia dell’espressione, una sua salda etica estetica. Se in effetti -secondo una vecchia intuizione formulata da Edward Lucie-Smith- il cubismo proclamava di aver conquistato la terza dimensione alla tela, il surrealismo (con tutti i suoi successivi epigoni più o meno dichiarati, a partire da molto pop ancora in voga) affermava l’immediata dignità materiale degli oggetti, mentre minimalismo e concettuale giocavano d’azzardo con la smaterializzazione delle forme, ci ha pensato da ultimo l’onda anomala dell’archiscultura a sottrarre ulteriore attenzione a quelle forme plastiche che, semplicemente, si propongano in virtù della loro presenza scultorea nello spazio.
Questa breve introduzione dai larghi margini è per dire che visionare mostre come quella di
Mirella Saluzzo (Alassio, 1943; vive a Milano e Ravenna) consente per un tratto di respirare più liberamente, accertando con piacere lo svolgersi di una ricerca schiettamente scultorea, indirizzata lungo una dirittura astratta, estranea a facilitazioni di tendenza e tutta concentrata sull’approfondimento di un proprio intimo ritmo spaziale.
Disposte all’interno di un ambiente sobriamente antico come le sale di Palazzo Jacini, le nuove opere della scultrice di origine ligure affermano una loro singolare presenza. Forme rette da equilibri misuratamente instabili, dove ampie lastre d’alluminio si flettono e torcono con la leggerezza di un origami. Ancora, il gioco sottile di pieni e vuoti si anima nel dialogo visivo stabilito tra il lampeggiare scontroso del metallo con il giallo profondo delle superfici stuccate e dipinte, un colore adottato come “
segno di luce” -secondo l’espressione dell’artista in catalogo- che ben contribuisce a dinamizzare ulteriormente le strutture.
Strutture, viene da aggiungere, le quali proprio per la loro schietta dichiarazione di generalità scultoree possono permettersi anche alcune felici sottigliezze tridimensionali, giocando ad appiattirsi e arrampicarsi sulle pareti come a tentare sornione per un tratto la dimensione della pittura. Salvo affermare con ancor maggiore trasparenza la loro originaria tensione plastica.