Vedere
cose è vedere
cosa. Alla Ierimonti
Gallery, arazzi, repliche e metonimie rimettono al mondo immancabili
déjà-vu. Riproduzioni che
riflettono immagini di grandi dimensioni, capolavori che, de-materializzati,
tornano, nonostante il cambio di forma, a fare arte e parte dei nostri serbatoi
iconografici. La presenza dell’occhio, in questa mostra, è motore pulsante e
guida unica per l’immaginazione, canale visionario che, di fronte a ciascun
lavoro esposto, attiva un disturbo. Forse un disagio lieve, pronto però a
ridefinire i confini dell’esistente.
Con
Seeing things, il solo guardare
crea quel che si vede e spinge il registro scopico a promuovere uno sforzo in
più, a un’azione che confonde la posizione dell’osservatore con quella
dell’artista. È l’azione del comporre.
Umorismo, dramma,
maschera e nolontà giocano sull’anamorfismo e sull’illusione ottica,
sottolineando l’idea di
Devorah Sperber (Detroit, 1961; vive a New York) artista-artefice, dando luce alle sue
opere, che risultano così gettate senza quasi preavviso addosso al visitatore.
L
‘artista mette in scena un’operazione esclusiva e di tipo “artigianale”,
attraendo chi si trova di fronte ai lavori verso una serie di colonne di fili
colorati, rocchetti che, a prima vista, mettono a nudo la loro struttura
complessiva fatta di cromatismi, forme e campiture, ricomposti attraverso
l’ausilio di una sfera.
È attraverso questa
lente grandangolare che ogni cosa si compie, di nuovo. Davanti ai nostri occhi
si disvela così un’immagine, una copia mosaicata di capolavori noti. Centinaia
di rocchetti di filo rendono pragmatico e buffo il mistero della creazione
delle immagini, che ingannano la potenza energica e iconica di sofisticazioni
già conosciute, capolavori del nostro tempo, fin troppo stratificati, recepiti
e infine assorbiti come
diversi da parte dei nostri archivi mnestici.
Sperber, al di là del
manierismo impostole dalla propria ricerca, non specula sull’assemblaggio
prodotto dal vedere né sulle capacità critiche. Le immagini proposte attraverso
nuovi significanti non perdono il senso della rappresentazione, ma riacquistano
la loro innata falsità d’indicatori, segnali in grado di sottolineare il
meccanismo stesso della loro creazione.
Questa personale
approfondisce una ricerca materialistica, una visione pratica e incantatrice
che cerca di entrare nel mistero dell’atto creativo in sé, attraverso la
proposta di opere che ripercorrono alcune tra le fasi più importanti della
storia dell’arte americana. Sperber, infatti, introduce a sua volta una nuova
versione pop di dipinti e icone già definite pop, proprio perché popolari,
conosciute e riconoscibili saldamente dalla società contemporanea.
Si possono così
ri-vedere l’enigmatico sorriso della
Gioconda di
Leonardo, la famosa
Campbell’s
Soup di
Andy Warhol, la sensualità disarmante dell’icona cinematografica Marilyn.
Ritratti del tempo intrappolati da una decina di anamorfosi, lavori tra la
norma e l’eccezione.