Tante persone con cui lavorare,
discipline diverse messe insieme, dialoghi intensi con la creatività d’ogni
arte e, fondamentale sempre, la luce. Nel delizioso, colto, coinvolgente
Sketches
of Frank Gehry (2005)
di
Sydney Pollack,
unico documentario del grande regista e sua ultima opera, il confronto fra
questi due artisti si fa a tratti diretto.
L’attenzione è certo rivolta al
lavoro di quest’architetto rivoluzionario, che racconta, mostra, spiega,
incolla tetti flessibili, svela ispirazioni – dalle scaglie di un pesce o da
una stampa antica -, sorride di sé, ambizioso e spaventato a un tempo, sempre
inquieto e ardito. Ma il tono confidenziale, l’amicizia e il piacere della
battuta conducono i due anche ad avvicinare, con divertita spregiudicatezza,
architettura e regia, per committenza e genialitĂ , compromessi e
collaborazioni, confini costrittivi e libertĂ .
Pollack dice che avrebbe voluto
fare lo scrittore,
Frank O. Gehry (Toronto, 1929; vive a Los Angeles) il pittore: lavori
solitari, tempi propri rispetto alla grande macchina, sempre al plurale, del
cinema, così come per la costruzione di nuovi edifici, opere poi definite per
sempre. E, in comune, la luce: essenziale per raccontare una storia per
immagini, e per la visione esterna di un’architettura, da più angoli, mutando
le ore e le stagioni, e per vivere gli spazi all’interno, continue sorprese
agli angoli inattesi delle pareti, i raggi del sole che stupiscono con ombre e
pareti mosse.
Prima di visitare questa mostra,
che prende avvio dalla svolta stilistica del
Guggenheim di Bilbao (1997), sarebbe meglio aver
percorso quest’opera straordinaria, che sconvolge i canoni ma anche cita e reinterpreta,
con un’energia e un’inventività , molteplici ricerche del secolo, per l’appunto pittoriche,
ma anche aver visto il film di Pollack, girato tra il 2000 e il 2005, il cuore
degli anni in mostra.
Questo in particolare per chi ama
incontrare l’arte, la creatività contemporanea, al di là del possibile
interesse specifico. Perché questo percorso milanese pare invitare proprio non
solo gli studiosi d’architettura – visita obbligata! – ma chi è comunque
interessato a capire la modificabilitĂ dello spazio abitativo, la
sperimentazione di nuovi materiali, le relazioni tra ambiente naturale/umano e
nuove costruzioni.
Una mostra che espone il
segno/disegno nervoso e mosso di Gehry, i modelli di diverso formato, e poi filmati,
foto, parole dello stesso architetto, interviste a voce. Così, per esempio, si
possono conoscere il
DZ Bank Building di Berlino (1995-2001), il
Jay Pritzker Pavilion di Chicago (1999-2004) e l’
Interactive
Corporation Headquarter di New York (2003-07), e il resort
Atlantis Sentosa di Singapore e la sede di Abu
Dhabi del
Guggenheim Museum.
Assai utile il catalogo, a cura di
Germano Celant: un itinerario di spiegazione che ricorda le coordinate storiche
e acuisce la vista. Perfette le immagini, che raccontano per particolari e
visioni d’insieme.