Dopo aver partecipato a due collettive allestite negli spazi-miniatura
della Traffic Gallery,
Karin Andersen (Burghausen, 1966; vive a Bologna) presenta ora la sua
prima personale bergamasca. Tra video-presenze e dipinti, biotecnologia e
teriomorfismo, metamorfosi e genetica lineare, le esplorazioni dell’artista
tedesca accompagnano la ricerca visiva dello spettatore nel campo della
trasformazione. Oltre i confini di quella dimensione che tanto sottende quanto
appartiene al mondo umano per metà animale: la semidivinità.
In galleria bastano alcuni lavori per restituire al registro inventivo
una massa formale omogenea, un mondo verosimile consolidato. Sono esposti: il
video che
decide il titolo di questa mostra (
Hotel d’Hiver, con colonne sonore curate da
Christian Rainer) e alcuni dipinti che riprendono
soggetti e protagonisti delle riprese fatte sul set lettone dell’Hotel Viktorija,
Il cast di Hotel d’Hiver.
Al di là dei facili parallelismi con i processi animal-visionari (dall’agiografia
degli dei egiziani alle rappresentazioni di
Matthew Barney)
e le scontate allusioni letterarie
(imputabili anche ai racconti di Kafka), l’artista sembra aver coltivato un
mondo favolistico e allucinatorio resistente, un ecosistema surreale in grado
di oltrepassare le barriere dell’impressione.
Scrittori di favole come Esopo,
Fedro, Orazio e gli autori orientali della raccolta di racconti
Panchatantra sembrano rimanere in disparte
rispetto alle manomissioni di Andersen, espedienti narrativi ingegnosi che, per
il tipo di analisi sul mondo umano, ricordano le rappresentazioni schiette di
La Fontaine.
Gli errori degli uomini, le loro
fobie, le idiosincrasie vengono criticate con gentile fermezza. Lo spirito
epicureiano di
Hotel d’Hiver contrasta con una ricerca spronante del motto di spirito
finale, mentre la vicinanza del vissuto (l’idiosincrasia uomo-animale) con il
vivente (il soggetto sulla scena) si assimilano tra loro, regalando respiro al
tessuto narrativo. Pennellate veloci, orecchie quasi-suine, occhi azzurri e
catacresi su eventuali
topi d’albergo animano questa personale come elementi di tramite,
ritornelli scopici che non annoiano, ma lasciano negli occhi il gusto del
ritorno.
L’oltre-umano, inserito nel moto
di creature zoomorfe, proviene da un percorso concettuale e artistico che
Andersen, invero, guarda seguendo una prospettiva critica, pur di rivendicare,
così, una sorta di ratio post-umana. Parlando delle opere esposte non è
difficile guardare all’uomo in quanto paroliere pensante, contenitore di un
corpo umano che si mette alla prova sfidando l’arbitrio animale.
Ecco infine, dunque, comparire la
creatura imperfetta: equilibrio ottenuto con la somma di molti disequilibri.
Limite dove la creatura-scoiattolo, il vivente-lemure, il sopravvissuto-formichiere
fanno uscire coda, orecchie e peluria, contagiando anche gli ospiti dell’Hotel,
umani che non si stupiscono di vedere animali al posto dell’immagine del sé.