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18
gennaio 2008
fino al 10.II.2008 Ugo Mulas Milano, Pac
milano
Dalla Milano degli anni ‘50 all’America pop. Trent’anni di Biennali, mostre, eventi artistici d’ogni sorta. Attraverso le fotografie di Ugo Mulas, le scene e i retroscena del panorama artistico del Novecento...
Gli scatti di Ugo Mulas (Pozzolengo, 1928 – Milano, 1973) costituiscono l’ennesima prova dell’ingenuità utopistica con cui Walter Benjamin, e con lui tanti pensatori al principio del Novecento, credettero di scorgere nella fotografia lo strumento più oggettivo e anonimo possibile per registrare i “fatti” della realtà quotidiana. La fotografia non registra nulla; interpreta attraverso l’occhio e, prima ancora, il sentimento di chi sta dietro l’obiettivo.
Lo sapeva bene Mulas che, in decenni di lavoro, ci ha consegnato uno dei romanzi più colti e appassionati del Novecento non solo italiano, seguendo gli itinerari del gusto e delle passioni che, attraverso i fatti più importanti della cultura artistica, hanno segnato l’immaginario visivo dei variegati decenni del dopoguerra. Dalle fotografie della Milano dei primi anni ‘50, con il “ghisa” che si scalda al fuoco acceso in un bidone di metallo, nella lunga notte degli operai al lavoro sui binari del tram. Sotto i palazzi-casermoni della periferia, nella nebbia che tutto inghiotte, sono le Maria Brasca e le Gilde del Mac Mahon a passaggiare, in un fermo immagine da pellicola neorealista.
Aria di Nouveau Réalisme si respira negli scatti che ritraggono, fra i tavolini del bar Giamaica, momenti di vita bohèmienne della “meglio gioventù” artistica del momento. Spiace che questa serie sia esposta a Roma e non a Milano, dove avrebbero costituito un perfetto contraltare alla prima infilata di desolanti immagini della città meneghina, facendo da ponte ai dirompenti ritratti d’artista degli anni ‘60.
Dopo il 1964, l’anno dello sbarco della Pop Art, con il trionfo degli artisti americani alla Biennale di Venezia, fare arte in Italia non è più la stessa cosa. E chi, come Mulas, ha speso anni a costruire visivamente l’organigramma del panorama artistico italiano, sente il bisogno di aggiornarsi su ciò che va scuotendo, da oltre Oceano, l’intero mondo dell’arte. Ecco la necessità del soggiorno a New York e la certezza avvertita “di condividere un momento straordinario, di essere testimone di una cosa veramente importante nel momento in cui capitava e si affermava”. È lo stesso Mulas a parlare: “Avevo già fotografato degli artisti, per esempio Severini, per esempio Carrà, ma mi era sembrato di fotografare dei superstiti. Se mai avrei voluto fotografarli nel 1910, nel 1912: allora avrebbe avuto un senso, mentre adesso non faccio che registrare la loro sopravvivenza fisica come personaggi”. Da qui anche la fotografia si fa pop nei ritratti non più di de Chirico o Sironi, ma di Rauschenberg e Warhol, divertito davanti e dietro la macchina fotografica.
E si torna a Milano, con qualcosa di più in testa e un’idea nuova di fotografia, con le stupende scenografie del Wozzek di Alban Berg, dov’è ancora protagonista la periferia, che ora potrebbe essere di Budapest o Sarajevo. Le immagini di natura filtrate attraverso gli Ossi di Seppia di Montale sarebbero piaciute a Morlotti, mentre informali più dell’informale si fanno le inquietanti foto del Campo urbano di Como (1969), a pochi anni dalla celeberrima serie di scatti dedicati al taglio di Fontana. In un montaggio cinematografico perfetto, degno di Hitchcock, il prima e il dopo dell’azione sulla tela, nella solennità di una luce da Seicento olandese.
Tutto finto: Fontana non avrebbe mai acconsentito di riprendere il momento del taglio sulla tela, un rito più che un’azione. Ma le foto di Mulas rimagono il tentativo più riuscito di restituirci, per sempre, il senso della ricerca artistica di Fontana, con la solita capacità di dirci qualcosa di un artista che nemmeno dalla sua opera emerge così chiaramente.
Lo sapeva bene Mulas che, in decenni di lavoro, ci ha consegnato uno dei romanzi più colti e appassionati del Novecento non solo italiano, seguendo gli itinerari del gusto e delle passioni che, attraverso i fatti più importanti della cultura artistica, hanno segnato l’immaginario visivo dei variegati decenni del dopoguerra. Dalle fotografie della Milano dei primi anni ‘50, con il “ghisa” che si scalda al fuoco acceso in un bidone di metallo, nella lunga notte degli operai al lavoro sui binari del tram. Sotto i palazzi-casermoni della periferia, nella nebbia che tutto inghiotte, sono le Maria Brasca e le Gilde del Mac Mahon a passaggiare, in un fermo immagine da pellicola neorealista.
Aria di Nouveau Réalisme si respira negli scatti che ritraggono, fra i tavolini del bar Giamaica, momenti di vita bohèmienne della “meglio gioventù” artistica del momento. Spiace che questa serie sia esposta a Roma e non a Milano, dove avrebbero costituito un perfetto contraltare alla prima infilata di desolanti immagini della città meneghina, facendo da ponte ai dirompenti ritratti d’artista degli anni ‘60.
Dopo il 1964, l’anno dello sbarco della Pop Art, con il trionfo degli artisti americani alla Biennale di Venezia, fare arte in Italia non è più la stessa cosa. E chi, come Mulas, ha speso anni a costruire visivamente l’organigramma del panorama artistico italiano, sente il bisogno di aggiornarsi su ciò che va scuotendo, da oltre Oceano, l’intero mondo dell’arte. Ecco la necessità del soggiorno a New York e la certezza avvertita “di condividere un momento straordinario, di essere testimone di una cosa veramente importante nel momento in cui capitava e si affermava”. È lo stesso Mulas a parlare: “Avevo già fotografato degli artisti, per esempio Severini, per esempio Carrà, ma mi era sembrato di fotografare dei superstiti. Se mai avrei voluto fotografarli nel 1910, nel 1912: allora avrebbe avuto un senso, mentre adesso non faccio che registrare la loro sopravvivenza fisica come personaggi”. Da qui anche la fotografia si fa pop nei ritratti non più di de Chirico o Sironi, ma di Rauschenberg e Warhol, divertito davanti e dietro la macchina fotografica.
E si torna a Milano, con qualcosa di più in testa e un’idea nuova di fotografia, con le stupende scenografie del Wozzek di Alban Berg, dov’è ancora protagonista la periferia, che ora potrebbe essere di Budapest o Sarajevo. Le immagini di natura filtrate attraverso gli Ossi di Seppia di Montale sarebbero piaciute a Morlotti, mentre informali più dell’informale si fanno le inquietanti foto del Campo urbano di Como (1969), a pochi anni dalla celeberrima serie di scatti dedicati al taglio di Fontana. In un montaggio cinematografico perfetto, degno di Hitchcock, il prima e il dopo dell’azione sulla tela, nella solennità di una luce da Seicento olandese.
Tutto finto: Fontana non avrebbe mai acconsentito di riprendere il momento del taglio sulla tela, un rito più che un’azione. Ma le foto di Mulas rimagono il tentativo più riuscito di restituirci, per sempre, il senso della ricerca artistica di Fontana, con la solita capacità di dirci qualcosa di un artista che nemmeno dalla sua opera emerge così chiaramente.
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mostra visitata il 21 dicembre 2007
dal 4 dicembre 2007 al 10 febbraio 2008
Ugo Mulas – La scena dell’arte
PAC – Padiglione d’Arte Contemporanea
Via Palestro, 14 (zona Palestro) – 20121 Milano
Orario: lunedì ore 14.30-19.30; da martedì a domenica ore 9.30-19.30; giovedì fino alle ore 22.30
Ingresso: intero € 5; ridotto € 3/2
Catalogo Electa, € 75
Info: tel. +39 0276009085; fax +39 02783330; www.comune.milano.it/pac
[exibart]
complimenti. Bella recensione. Ho visto la mostra di passaggio a Milano, è davvero un peccato che le foto siano divise tra Roma e Milano
Ma il fenomeno Giamaica (e relativi frequentatori) non è poi così legato al Nouveau Rèalisme:sia dal punto di vista cronologico – il “boom” del Giamaica è tra il 1954-55, data anche degli scatti di Ugo, mentre il Nouveau Realisme nasce ufficialmente solo nel 1960, e le foto in mostra risalgono addirittura al 1970 – sia da quello “estetico”, possono essere interpretati forse come affini ma non espilicitamente legati. Bisognerebbe ,a mio parere, distinguerli.
Non è scritto da nessuna parte che siano legati, e nemmeno in questo articolo. E’ solo un rimando più di sensazione, a mio parere, e ci stà tutto.