C’è chi insegue il segno e chi l’immateriale; chi si
concentra sul gesto, chi affida alle parole oscurità da Pizia, e chi ancora si
immerge nel misticismo di una catarsi definitiva. Ci sono, insomma, diverse
anime dell’astrattismo nella collettiva che Renata Fabbri ospita nel suo spazio
milanese, portando per la prima volta in Italia
Freddy Chandra e accompagnandolo, quasi fosse
una Biancaneve al contrario, con sei artiste del nostro paese. Sei donne in
fuga dal figurativo, seguendo strade tra loro completamente divergenti; sei
voci che intendono significare, nel percorso critico suggerito da Giorgio
Bonomi, come l’assimilazione del linguaggio dei grandi maestri possa oggi
essere terreno germinale, sul quale investire ricerca per ottenere nuove
visioni.
Ad esempio quelle di
Maria Elisabetta Novello, che incapsula trame di cenere
tra fogli di plexiglas, giocando con tutti i diversi gradi della scala
dell’effimero. Nascono così grafiche flebili, suscettibili della luce e della
sua capacità di costruire profondità; si consumano gesti misurati, nella
definizione di segni a metà strada fra mandala tibetani e ricami a tombolo, ma
accomunati da una carica ancestrale di struggente potenza.
Ambiziosa la ricerca di
Elena Debiasio che, guardando alla lezione di un
Hartung,
sembra centrare le proprie
Aggregazioni sulla necessità di dialogo tra gesto e spazio. Dove
il gesto è solo apparentemente violento e in realtà costruito con eccezionale
misura; dove lo spazio del supporto è insufficiente a contenere e soddisfare un
impeto creativo che reclama nuove dimensioni. E se le va a prendere: ad esempio,
nell’evocativa frantumazione virtuale della tela, fratta in dittici diseguali.
Il fuoco è invece l’elemento che avvicina i lavori di
Eloise
Ghioni e della
romana
Adele Lotito. Mentre la prima propone le combustioni geometrizzanti dei suoi
cerchi concentrici, la seconda lavora con il nerofumo: lastre di alluminio si
popolano di cifre numeriche, affastellate senza soluzione di continuità con
effetto vagamente optical; impresse sul supporto per “difetto”, quasi emerse
dal metallo stesso, annerito negli spazi tra un numero e l’altro dal fumo di
una candela.
Scende nel concettuale puro
Patrizia Novello,
che propone la recentissima serie
de
La natura nelle sue scelte, oli su tela dove imprime su un fondo di grande pastosità
la composizione per linee geometriche dell’aggregarsi di bolle di sapone,
chiuse dall’inserimento di sentenze arcane. Quasi a stigmatizzare il – preteso?
– controllo dell’uomo sullo svolgersi della natura.
Sovrapposizioni e stratificazioni, continue aggiunte e
sottrazioni segnano infine le
Superfici di
Anna Galassini, immagini di una fisicità
multi-layer che insistono su un vibrante
dinamismo cromatico.