Un bianco accecante illumina lo spazio e fra la clinicità dell’atmosfera alcune mani cercano appigli, cercano un sostegno per reggere il peso del proprio corpo.
Suspensi equilibrioprecario è una mostra di fotografie digitali che raccoglie undici opere create dal giovane artista Lamberto Teotino. Ispirato dalla body art degli anni ’70, l’artista inizia un percorso partendo dal corpo, soggetto principale della sua arte, per immergersi nella profondità, nel significato della precarietà con cui ogni identità è costretta a convivere. L’arte è un mezzo per ricercare se stesso, uno strumento per sperimentare due differenti realtà: quella naturale e quella artificiale, data dalle avanguardie tecnologiche che permettono e offrono la possibilità di costruire corpi nuovi, di divenire consapevole dei propri limiti e di andare oltre.
Da qui allora l’importanza dell’utilizzo di materiali sintetici che uniti alla pelle umana creano un effetto da sala operatoria: un lavoro di chirurgìa digitale, in cui ogni frammento, ogni piccolo dettaglio viene scardinato, mostrato e alterato dando vita ad un ibrido, un linguaggio fatto di alterazioni e nuove combinazioni che obbligano lo spettatore a prestare maggiore attenzione a ciò che guarda.
Non sono dettagli immediati, ma serve un occhio acuto per percepire le sottili modificazioni del corpo: sei dita, o cinque con l’assenza del pollice, due mani sinistre che si aggrappano con estrema forza. E lo sforzo fisico diventa determinante nei lavori. Ogni opera nasce da un’esperienza personale di fatica realmente provata e solo in questo modo è possibile comunicare la sensazione di sospensione e la necessità di trovare appigli per rimanere a galla in modo nuovo. Ma “per essere appesi ad un filo non occorre essere sospesi”, ci dichiara l’artista, e lo ha dimostrato attraverso la performance durante l’inaugurazione della mostra. Sotto un tavolo di plexiglass un uomo si nasconde mostrando attraverso due grandi fori, le sue mani che afferrano il manubrio di un trapezista posto al centro della sala. La performance, la prima in assoluto nella sua carriera, nasce dalla volontà di non rendere lo spettatore un soggetto passivo all’evento, ma da una spinta, un forte stimolo a essere soggetto attivo a ciò che gli sta succedendo attorno. Il pubblico diventa così parte integrante dell’esibizione e accostandosi all’opera “umana” si pone delle domande, si interroga sulla sua natura :
“E’ un corpo reale o è finto?”. Ogni appiglio nasce da una lunga e appassionante ricerca, non sempre facile, come per esempio la scoperta di un appendino del 1995 con un design un po’ retrò che avvicinandosi all’idea di piercing diventa attuale.
E’ l’unica opera esposta di colore nero dove una mano ricoperta da un gel, che nasconde e confonde lo spettatore sulla reale essenza dell’oggetto ritratto, si sforza per rimanere aggrappato al gancio dell’appendino. L’opera è il risultato di un montaggio di otto foto con otto tipi di messa a fuoco. E questo accanimento per la ricerca si è estesa fino ai colori, con i quali l’artista ha confessato di avere qualche difficoltà. Il bianco, il rosa della pelle umana, il nero e l’acciaio. Quest’ultimo abbandona un po’ la sua natura materiale per diventare una tonalità, un po’ fredda forse, che dà luce alle opere.
anna volpicelli
mostra vista il 2 marzo 2004
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