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Con “Care” Ali Kazma (1971, Istanbul) ci conduce alla scomoda presa di coscienza del paradosso che affligge le nostre esistenze, tese “tra il sapere della morte e il sogno di vita eterna”. Infatti, il concetto di Care, cura, leitmotiv nella ricerca dell’artista, si rivela un efficace condensato della duplice tensione che l’esistere comporta. Cura significa responsabilità, accettazione dell’annichilimento che lento logora il nostro corpo fragile, vivo per un tratto troppo breve di un tempo che sempre gli sfugge. Ma, alla luce di questo sapere incontrovertibile, cura è anche desiderio, lotta, tentativo vano di resistere al nulla che ci inghiotte, trascendendo il limite corporeo nell’oggetto, nell’azione, nel segno, nell’immagine, nell’altro, doppio inorganico a cui ci affidiamo per sopravviverci, per un istante, almeno. E la scelta, riuscita, di trasmettere in contemporanea i video presenti in mostra amplifica la dura consapevolezza della vanità di quello sforzo disperato, che è anche il nostro,di essere, di resistere, nonostante tutto.
Crystal, video inedito appartenente alla serie Obstructions girato in un’antica vetreria francese, filmandola coordinazione degli artigiani nel dare forma a un materiale incandescente e malleabile per un tempo brevissimo, simbolizza proprio l’operazione delicata, in quanto irripetibile, di dare un senso alla propria esistenza, di esserci comunque nell’agire che soffoca quel sapere inaccettabile. In Crystal si compie anche il passaggio mancante tra la serie Obstructions e la serie Resistance a cui appartengono gli altri lavori. Infatti, l’azione non è fine a se stessa ma produce un oggetto, una materia altra, una traccia che la trascende e la ricorda resistendo a un destino di oblio.
In Tattoo, invece, è il corpo stesso ad essere la tela biologica su cui duplicarsi, riscriversi altri in quei segni, sensi di una nuova pelle disincarnata, protesi immortale del sé inorganico che a poco a poco prende vita, respira, completando la propria metamorfosi illusoria nell’immagine del teschio, estremo emblema della vanitas che nulla risparmia. Ecco, dunque, che il deperimento della pelle organica trascinerà inevitabilmente con sé i sensi incisi su quell’epidermide segnica troppo fragile per resistere. In Calligraphy il prolungamento diviene altro dal sé nella parola scritta, tramite cui il corpo sfugge, forse, la condanna dell’organico nel segno che gli sopravvive dimenticando quella carne mortale che lo ha impresso. Ma se la materialità del supporto rallenta la disintegrazione finale, di certo non la scongiura. La sopravvivenza non è garantita e il sogno di vita eterna si infrange, ancora una volta. Infine, Play, esposto nella seconda sala,intrecciando prove e spettacolo dell’Amleto del Wooster Group nell’allucinata tensione tra realtà e finzione, originale e doppio, verità e illusione, essere e non essere, inscena quel paradosso eterno che come uno spettro inquietante grava sull’esistere e che Kazma ci costringe a guardare negli occhi.
Martina Piumatti
mostra visitata il 28 febbraio
Dal 19 febbraio al 10 aprile 2015
Ali Kazma, Care Francesca Minini Via Massimiano 25 – 20134 Milano
Orari: da martedì a sabato ore 11.00-19.30