«L’arte è come un’altra natura diversa dalla natura vera e propria: è una natura più razionale perché sorge dalla mente, ma essa pure è piena di segreti». In questa frase di Luciano Fabro è racchiuso il senso del suo lavoro, profondamente legato in generale alla storia dell’arte ed in particolare alla storia della scultura, come dimostra in maniera lucida e coerente l’antologica presso le due sedi della galleria Stein a Milano, in Corso Monforte e a via Vincenzo Monti a Pero. Nella prima è stata ricostruita la prima personale dell’artista, tenutasi presso la galleria Vismara nel 1965 con una selezione di opere di matrice minimalista, dove Fabro si interroga su materiali industriali come il vetro e l’acciaio, per riflettere sulle relazioni tra opacità e trasparenza o gravità e leggerezza,in un’indagine rivolta al rapporto tra opera e spazio circostante.
Lavori come Impronta (1964), Buco (1963) o Mezzo Specchiato Mezzo Trasparente (1964) , definiti da Fabro come “esperienze”, dichiarano un intento legato a ricerche sulla percezione visiva piuttosto che a risoluzione di problemi formali, e si pongono quindi, come puntualizza Margit Rowell, in una dimensione diversa rispetto al minimalismo americano o europeo, tanto da essere allora definiti addirittura “barocchi”. Come spiega lo stesso Fabro «eravamo in un momento dominato dall’arte cinetica: si guardavano Vasarely , Le Parc e Morellet, e in Italia Colombo e Alviani. Le mie opere non si muovevano, ma suggerivano l’idea del movimento, come nell’arte barocca». Forme che evocano idee e concetti, attraverso un’attenzione forte ai materiali, elaborati all’interno di un contesto legato alla classicità, come dimostra la seconda parte dell’antologica, negli ampi spazi della galleria a Pero. In questi ambienti sono riunite alcune delle opere più significative di Fabro, in un allestimento originale e molto efficace. Molte erano presenti anche nell’esemplare retrospettiva curata da Joao Fernandez e Silvia Fabro nel 2014 al Palacio de Velasquez a Madrid, ma in questa sede gli spazi hanno permesso soluzioni interessanti, come la ricostruzione di Coreografia (Habitat), eseguito per la prima volta alla galleria Christian Stein di Torino nel 1975.
Questo allestimento, concepito come un ambiente unico per ospitare nove Italie differenti, indica chiaramente quanto Fabro avesse un’attenzione specifica per la creazione di spazi effimeri, spesso realizzati in carta (come in questo caso) e abitati dalle opere, per mettere in contrapposizione l’architettura del museo con questi padiglioni leggeri e provvisori, vicini ad un’idea di scultura non monumentale ma piuttosto domestica. In un’altra sala Silvia Fabro, titolare dell’archivio Luciano e Carla Fabro, ha posto in dialogo una serie di sei Piedi, realizzati in tempi e con materiali diversi, con 4 Obelischi (1975), per dare vita ad un contrappunto tra linee orizzontali e verticali, materiali leggeri e pesanti, all’insegna di una classicità rivisitata e messa continuamente in discussione, pur nel massimo rispetto dei canoni tradizionali.
Misura, armonia e forma costituiscono i paradigmi fondamentali per il pensiero di Fabro, riassunti in maniera mirabile nell’opera Io rappresento l’ingombro dell’oggetto nella vanità dell’ideologia. Dal pieno al vuoto, senza soluzione di continuità. Lo Spirato (1968-73) che possiamo annoverare tra i suoi lavori più significativi. Esposto per la prima volta alla mostra Contemporanea al Parcheggio di Villa Borghese a Roma (1973), questa scultura , ricca di riferimenti all’antico (il più ovvio è il Cristo Velato, realizzato nel 1753 da Giuseppe Sanmartino per la Cappella Sansevero a Napoli, ma anche il Cristo Morto (1475-78) di Andrea Mantegna, oggi alla Pinacoteca di Brera) è in realtà il tentativo di dare forma al vuoto lasciato da un corpo umano. «Ho pensato a una scultura che avesse il lenzuolo modellato dal corpo di un uomo, che però a un certo punto sfila fuori, lo “Sfilato”»: con queste parole l’artista spiega la genesi di un’opera che ribalta il concetto stesso di scultura, spingendo all’estremo il lavoro del marmista di Carrara Franco Tonello, chiamato da Fabro a realizzare la scultura, che mostra chiaramente, nell’angolo destro , il sollevamento del lenzuolo che ha permesso al corpo di sfilare via , lasciando soltanto la sua impronta d’aria. Scultura come punto di incontro tra la presenza di un’assenza e l’assenza di una presenza, che l’artista sottolinea attraverso l’uso del marmo, un materiale quasi consumato dalla storia dell’arte, del quale Fabro mette in discussione i paradigmi più ovvi e banali, attraverso soluzioni concettuali destinate ad avere un forte seguito ad opera di artisti delle ultime generazioni, da Maurizio Cattelan a Gianni Caravaggio.
Ludovico Pratesi
mostra visitata il 28 ottobre 2015
Dal 28 ottobre 2015 al 10 aprile 2016
Luciano Fabro
Galleria Christian Stein
Corso Monforte 23 – Milano
Via Vincenzo Monti 46 – Pero
Info: info@galleriachristianstein.com, www.galleriachristianstein.com