Un limite sottile separa la metropoli da ciò che si è lasciata intorno: detriti, rovine, carcasse, resti memori di un passato più o meno glorioso. Un limite che si percepisce solo passandoci accanto, valicando la strade note che portano lontani dalla città. E aspettando. Camminando vicino a quei luoghi defilati, letteralmente tagliati fuori dal ventre della metropoli. Nascosti, negati e infine espulsi.
Un tempo forti realtà industriali, oggi nient’altro che spazi vuoti, desolati, inabitati, che Milano accetta come un male inevitabile, lasciandoli stare purché non valichino i confini, purché non tornino ad essere parte della città. Francesco Giusti, Giampietro Agostini e Tancredi Mangano arrivano in questi luoghi e osservano, ognuno a suo modo, ciò che è rimasto. A distanza di anni le fabbriche di Pero hanno smesso di esser produttive, non esce più nulla da quei casolari in cemento, nessun prodotto. Solo giovani e bambini arrivati da qualche paese non troppo lontano. Le fabbriche sono diventate scomodi giacigli in cui un microcosmo segregato si ripara e si ricostruisce una vita. L’occhio di Francesco Giusti si apre un varco e valica questi confini, quasi l’invade con lo sguardo del reporter. E chiede, parla, interroga, ritrae. Vietato l’accesso alle persone non autorizzate propone senza mezzi termini delle storie vere e vi associa dei volti. Questi sono i fatti, questa è la realtà. Non si tratta di una terra di confine, ma di una realtà territoriale ben precisa, che la città, complice, ignora.
Poi c’è Sesto S. Giovanni, con le sue celebri industrie, quelle che un tempo facevano muovere e risuonare tutta Milano. La Breda, la Magneti Marelli, le strutture portanti dell’economia. Oggi non è rimasto più niente, solo imponenti strutture senz’anima, contenitori di nulla. Giampietro Agostini si pone con reverente rispetto di fronte a questi colossi come fossero chiese, luoghi di culto dove anni addietro veniva celebrato il dio Lavoro.
Cattedrali è il titolo di questo lavoro, in cui il fotografo ritrae le strutture abbandonate delle fabbriche mettendone in evidenza, grazie alle inquadrature generalmente centrali, il ruolo fondamentale svolto all’interno dell’economia italiana. Ora non servono più a nulla, aspettano solamente di esser demolite.
Poi ancora, c’è la Bovisa. E c’era fino a poco tempo fa un posto dietro la stazione dove viveva una piccola comunità, nascosta dietro la vegetazione, riparata dalle foglie e dal resto del mondo. A parte. Nel vuoto lasciato dalle fabbriche dimesse e dai cantieri edilizi qualcuno aveva trovato uno spazio, l’unico spazio concesso, ed aveva cercato di abitarlo. Ora questo luogo non esiste più, ma le fotografie di Tancredi Mangano ancora raccontano di quelle piccole costruzioni abitative, dolorosamente infantili, create dal nulla, da piccoli oggetti trovati sul territorio e dal territorio stesso. Di quegli Inabitanti che le abitano, che cercano di abitarle e di viverle. Piccoli segni, delicati indizi e strutture precarie. Vite effimere, degli abitanti e della vegetazione. Insieme e uguali.
È ciò che circonda Milano. È ciò che Milano spesso non vede.
francesca mila nemni
mostra visitata il 13 giugno 2006
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