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fino al 10.V.2008 | Jürgen Drescher | Milano, Suzy Shammah

di - 2 Maggio 2008
Fin dagli anni ’80, Jürgen Drescher (Karlsruhe, 1955) è stato attirato da un’urgenza forte, quella di ri-costruire un paesaggio di senso insostituibile e riconoscibile. Una marcatura che sulla scena dell’arte era richiesta come medium e che, a causa della sua preminenza, sarebbe dovuta rimanere impressa negli sviluppi sociali di quel periodo. Drescher stesso, rendendosi conscio di dover esprimere la spinta propulsiva della Scuola di Düsseldorf, vedeva chiara la necessità di un’esigenza precisa. Serviva, infatti, una direzione estetica limpida, liquida, che velocemente traducesse una forma solida d’identità imminente. Un’unità stilistica forse perduta, ma legittimabile.
Per questo motivo, a ragione, attraverso la conoscenza dei materiali e la loro specificità espressiva, Drescher ha improntato il proprio personale processo formativo sotto la matrice delle idee. Idee che baluginavano asciutte, come riflesso di una società fortemente bisognosa di una sorta di specchio, un tramite codificato che unisse gli eventi politici e i loro riscontri su chi li stava subendo, senza possibilità di viverli fino in fondo. Attraverso un’attività fervida di raccolta del concetto formalizzato, Drescher ha sempre direzionato i propri discorsi sull’arte e nell’arte, tenendo convegni, conferenze e inaugurazioni che hanno sempre riconfermato l’impianto teorico dei suoi pensieri estremamente cesellati all’interno delle molteplici sculture esposte.
A Milano presenta una serie di nuovi lavori: sculture e un video che riprendono le modalità e le misure delle precedenti serie in alluminio, confermando la volontà espressiva della resa caustica. Le sue grosse lacrime d’alluminio, appese alle pareti, le sue coperte metalliche o i suoi scimpanzè dalle proporzioni esatte in scala 1:1 “dibattono contro l’oppressione del linguaggio”, afferma Drescher, “ma costituiscono un codice che invade senza mantenere alcuna presa utilitaristica sulle cose. Non so come mai queste sculture ricordino qualcosa”, prosegue l’artista, “qualcosa che però non c’è più; è come il titolo della mostra, che riporta una frase per quei momenti in cui non ricordiamo bene [Wie heisst…, in italiano Come si chiama…, N.d.R.], quando il discorso con il linguaggio stesso si ferma per un attimo, sospeso, e poi da quel momento riparte senza poi sapere se quel nome esatto di cui si andava in cerca avrebbe cambiato o meno il senso di quel che stavamo dicendo”.

Se dunque un palo in alluminio non è più tale solo perché da esso parte una grande lacrima o se, ancora, una vecchia coperta di lana non può più essere definita così a causa della propria formale plasticità, viene da chiedersi perché. Perché, per Drescher, le parole mantengono questa precisione brutale, che maltratta le nostre complicazioni e sottrae realtà al vero?

ginevra bria
mostra visitata l’8 aprile 2008


dall’otto aprile al 10 maggio 2008
Juergen Drescher – Wie heisst…
Galleria Suzy Shammah
Via San Fermo / via Moscova, 25 (zona Moscova) – 20121 Milano
Orario: da martedì a sabato ore 14-19.30
Ingresso libero
Info: tel. +39 0229061697; fax +39 0289059835; info@suzyshammah.com; www.suzyshammah.com

[exibart]

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