Noi, “
della razza di chi rimane a terra”, stiamo a guardare. E quasi ci piace, per un sottile masochismo, sentirci tagliati fuori: spettatori passivi di un tempio dove, per entrare, bisogna esser stati prima consacrati vestali della crudele dea moda.
La mostra è di quelle che si ricordano, anche se forse più come evento che come esposizione artistica. Una mostra perfetta come una sfilata; e non poteva essere altrimenti, considerando che è stata voluta da Dolce e Gabbana, che l’ha curata l’executive fashion editor di “Vogue” Phyllis Posnick, che Jean Nouvel ne ha progettato l’allestimento e che Eva Respini ha contribuito come guest curator.
Varcando la soglia del Palazzo della Ragione si è avvolti dal buio, con un forte impatto scenografico. Sulle pareti è proiettata la scritta “
Gloria Venustati”.
La gloria è quella trasmessa innanzitutto dallo spettacolare allestimento. Entrare nelle sale del Palazzo è come entrare in un tempio: istintivamente si abbassa la voce, ci si guarda attorno per scoprire qualche particolare inadeguato, si è assaliti da una sorta di timore reverenziale. Come in una chiesa, fanno da sottofondo canti liturgici, e ci si trova circondati da velluto rosso e da luci che prendono la forma di candele, mentre la croce torna come motivo nella realizzazione dei sostegni per le foto del piano sopraelevato.
Le opere, come rappresentazioni sacre di donne irreali, nel bene e nel male, che palesemente appartengono a un’altra dimensione rispetto alla nostra, sono esposte dentro nicchie, con davanti un inginocchiatoio. La venustas, tanto aggressiva da spingere talvolta lo spettatore a distogliere lo sguardo, è quella che raccontano, senza bisogno di spiegazioni o didascalie, le immagini scattate tra gli altri da
George Hoyningen-Huene,
Richard Avedon,
Helmut Newton,
Annie Leibovitz,
Irving Penn: grandi maestri che hanno interpretato il mondo dell’immagine attraverso una loro propria estetica, tesa alla bellezza assoluta, tanto da esser portata all’eccesso e diventare quasi violenta in alcuni scatti.
Tra le fotografie, immagini di donne viste come super-eroi, per esempio la Wonder Woman di
Steven Klein, che solleva da sola un camion (ma con vestito e guanti dorati); mentre la donna di
Edward Steichen, in un dolcissimo bianco e nero, sembra volersi difendere, nascondendosi con le sue stesse braccia. Oppure la donna come bambola: nello scatto di
Erwin Blumenfeld, Jean Patchett appare ritoccata all’estremo, fino a far scomparire la grana della pellicola e sembrare un disegno.