“L’arte contemporanea dopo l’11 settembre”: un tema controverso. I curatori della mostra Timer -Gianni Mercurio e Demetrio Paparoni- imputano alla situazione di assedio permanente dell’individuo da parte del “rischio globale” il ripiegamento su se stessi degli artisti. Ecco che il tema della prima delle tre mostre-kolossal in programma alla Triennale Bovisa è l’intimità: una ricognizione artistica delle varie forme che assume l’individuo oggi, dei suoi traumi e delle sue trasformazioni.
C’è da chiedersi se non sia il tema ad essere mal posto: l’attentato alle Torri Gemelle ha acquisito la sua natura di punto di svolta decisivo anche in virtù della rappresentazione visiva e della comunicazione. E gli artisti sono per natura alternativi a tali dimensioni, dato che il loro discorso ha lo stesso obiettivo della comunicazione: creare e modificare l’immaginario.
In ogni caso, Timer costituisce un evento quasi unico in Italia. L’impressione è che uno dei celebri libri antologici, come Cream o Art Now, abbia preso vita davanti agli occhi dello spettatore (con i pro e i contro del caso). Le star dell’arte odierna sono presenti, nella quasi totalità dei casi, con opere di notevole “peso specifico”. Fra i pittori, Glenn Brown, John Currin e Jenny Saville, quest’ultima con uno straordinario trittico che compone una pietas post-AIDS. Evocano come sempre il fantasma della morte Damien Hirst e Marc Quinn. Di Hirst sono presenti quattro Bilotti paintings, austeri e ruvidi “ritratti”. Quinn presenta invece uno dei suoi angeli deformi, oltre a due tele coloratissime che accostano alla natura rigogliosa d
Fra gli altri grandi nomi i fratelli Chapman, con un apocalittico plastico che riproduce l’ineluttabilità della violenza tra gli uomini, Tracey Emin e Anish Kapoor con una scultura ambientale che risucchia lo spettatore.
In mostra si trovano quasi tutte le tendenze attuali: la pratica installativa si abbandona all’eccentrico accumulo patafisico (John Bock, Tom Friedman, David Renggli, Ryan Trecartin); la pittura post–Elizabeth Peyton persegue la strada della sensualità e dell’apparente innocenza e leggerezza (gli splendidi Hernan Bas e Karen Klimnik). La fotografia segue il filone della fascinazione per il cinema, in particolare per l’onnipresente David Lynch. In questo campo spiccano le straordinarie, oniriche scene da teatro di posa di Gregory Crewdson. Infine, il video, che trova spazio nei container collocati nel cortile: fra tutti, segnalazione di merito per i Masbedo, che riescono a mettere in immagini la waste land creata da Michel Houellebecq nel romanzo La possibilità di un’isola.
Gli spazi della Bovisa, ariosi e leggeri quando ospitavano Hartung, risultano un po’ affollati in questa occasione, eppure l’allestimento riesce a fa interagire le singole opere. Pur nella gran varietà, è possibile tracciare una tendenza comune: l’individuo è sì diviso e tormentato, ma sembra poter andare verso una “ricomposizione”, una rinascita che assume i traumi e li sublima. Anche grazie a un senso intimo e dialettico di spiritualità. La nuova rivoluzione dell’arte contemporanea parte, dunque, dall’intimità: il personale si fa politico in forma indiretta, ma potenzialmente dirompente.
video correlati
Guarda il video della mostra su Exibart.tv, con un’intervista a Demetrio Paparoni
stefano castelli
mostra visitata il 29 marzo 2007
Fino al prossimo 21 aprile il Museo Civico di Bassano del Grappa ospita “Brassaï. L’occhio di Parigi”, la mostra realizzata…
Fino al 24 febbraio l’installazione site specific dell’artista marocchina Meriem Bennani dà forma a una misteriosa sinfonia attivata da molteplici…
Parigi continua a fare della cultura un tassello cruciale di sviluppo: l’offerta delle grandi mostre, visitabili tra la fine del…
Una rassegna di alcuni lotti significativi dell’anno che sta per finire, tra maestri del Novecento e artisti emergenti in giro…
Un ponte tra Italia e Stati Uniti: c'è tempo fino al 30 gennaio 2025 per partecipare alla nuova open call…
Ci lascia uno dei riferimenti dell’astrazione in Campania, con il suo minimalismo, rigorosamente geometrico, potentemente aggettante nella spazialità e nell’oggettualità.…
Visualizza commenti
pur avendo molti pezzi interessanti, non ho mai visto una mostra così inutile ed insulsa
concordo con il commento del lettore.
una mostra casino, con molti pezzi interessanti, ma tra tema e allestimento è da mettersi le mani nei capelli.
Una brande bufala. Iperpublicizzata come un grande evento in realtà la mostra è di una banalità sconcertante, poche opere notevoli e "tutto il resto è noia". L'allestimento, nel vano tentativo di inseguire il tema di partenza di per sè già debole, perde ogni filo logico con un'esposizione da supermercato (senza nemmeno lo "stimolo" di cosa farsi da mangiare per la sera) Una nota la meritano infine le "didascalie": da buone vittime passive del messaggio mediatico pubblicitario, dovremmo forse "capire" a comando anche che emozioni provare? Abbiamo bisogno della spiegazione? Patetico...
come potrei non essere d'accordo? lo sbadiglio e un certo mal-di-testa sono state le tanto decantate emozioni che la mostricciattola mi ha riservato. che tristezza...
La mostra Timer effettivamente si e' dimostrata un po' un flop: poco visitata gia' dall'inaugurazione, si e' mantenuta sul quasi-desertico anche durante il suo svolgimento.
E non solo per la sede, che e' stata indicata come vera causa dell'insuccesso, che invece sono convinto sia derivato dalla confusione e scarsa qualita' globale.
Deludente già in assoluto,
lo e' ancor piu' pensando all'enorme spargimento di soldi (della Triennale, cioe' nostri), di nomi e di propaganda.
Una buona occasione assai sprecata
(ed e' solo la prima puntata di un ciclo di tre eventi...).
Pero' certe dinamiche, nel mondo dell'arte italiana, e della stampa, non cambiano mai.
Guardate Exibart:
prima fa la speednews sincera, e dice che la mostra e' un disastro.
Poi, chissa' com'e', dopo un bel po' se ne esce con una recensione pensosa, indulgente, positiva.
Teniamo famiglia, si sa.
Intanto gli sponsor, per proprie crisi varie o perche' non ci credono piu', se ne vanno.
E 'sto povero mondo dell'arte contemporanea e' sempre piu' povero, fermo, autoreferente.
In Italia, "artista internazionale" non significa che uno espone e vende all'estero, macche'.
Significa che riesce a farsi infilare in mostriciattole alla moda, come questa, o "Camera con vista", dove grandi nomi, italiani storici o star internazionali, vengono esposti a caro prezzo, quasi ostaggi per far luce ai nostri artistini, poveri e pallidi ma molto ben schierati.
Saluti
Hermes Agostini