Il PAC prosegue l’esplorazione delle tendenze dell’arte contemporanea italiana degli ultimi anni, attraverso le collettive ideate da Alessandro Riva. L’intento non è solo quello di documentare, ma di condurre una riflessione che porti a ripensare l’idea stessa di arte. La mostra mette a tema e cerca di dimostrare come sia in atto una vera propria rivoluzione, non immediatamente percepibile, che ha come perno il ritorno e nello stesso tempo la ridefinizione di alcuni generi tradizionali di storia dell’arte (ritratto, paesaggio, natura morta). In parallelo, si assiste ad un identico fenomeno nella letteratura, con ogni probabilità sotto l’influenza del cinema. Il revival del genere è quasi l’effetto di una disillusione e di critica nei confronti del sogno romantico dell’opera d’arte totale. Ma non è un ritorno al passato. Anzi: la rivisitazione, la ripetizione, la riattualizzazione si configurano come strategia ironica per destabilizzare confini e identità rigide. Ciò che viene messo a tema è la nozione stessa di identità, la sua perdita e la sua relazione con la differenza. Si potrebbe parlare di una relazione-non-dialettica tra ripetizione e differenza, di un divenire-impercettibile di deleuziana memoria e richiamare le strategie della queer theory. Infatti pur essendo un’indagine sull’arte italiana (75 artisti italiani di nascita o d’adozione) l’operazione di Riva sembra avere i suoi fondamenti teorici nell’ambiente anglosassone e più in particolare americano, come ad esempio il Dipartimento di retorica di Berkeley di Judith Butler o l’Istituto di storia della coscienza di Teresa de Lauretis (autrice di un saggio dal titolo proprio “Sui generis”), dove il poststrutturalismo della critica letteraria e cinematografica ha trovato proprio con la queer theory una nuova vitalità e carica rivoluzionaria. Infatti nel percorso delineato da Riva è la stessa nozione di genere a subire una drammatica contorsione, proliferazione, dispersione. La rivisitazione dei generi tradizionali quali paesaggio, ritratto, natura morta, ha lo sconcertante risultato di mostrarne la loro inconsistenza: ad esempio la pittura di paesaggio scopre che il luogo contemporaneo è un non-luogo, dove lo spazio cambia natura e diviene tempo futuro. Si passa così dalla documentazione del paesaggio alla fantascienza e all’acquisizione da parte dell’arte di generi derivati dalla letteratura e dal cinema (giallo, noir, pulp, erotismo, pornografia) per poi concludere nel genere come problema di identità sessuale, o più radicalmente di identità dei corpi. La mostra è quindi strutturata in 8 sezioni, le cui suddivisione e collocazione all’interno del padiglione costituiscono un autentico processo logico-dimostrativo della tesi di partenza: la divisione che appare all’inizio si fa impercettibilmente labile e i generi scivolano uno nell’altro scambiandosi e richiamandosi. In questo senso, è centrale e uno dei punti estremi della ridefinizione del genere la sezione dedicata alla natura morta e al feticcio, dove si dimostra che tutto nella società dei consumi e della pubblicità può divenire e diviene natura morta. Ma il fulcro della mostra è la sezione “Contaminazioni”, dove messa a tema è proprio l’impossibilità di ditinguere tra il corpo proprio e l’alieno, dove la perdita dell’identità acquisisce caratteri decisamente queer divenendo alienazione virale, contagio abietto.
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