Seguire la regola, diceva Wittgenstein in riferimento all’uso del linguaggio. Minimal art e arte concettuale sono espressioni della creatività particolarmente sensibile all’apporto meta-teorico della critica e della filosofia, soprattutto da quando il valore prettamente estetico dell’opera d’arte trae la propria legittimità non più da fonti esterne -Dio, lo Stato- ma da ragioni speculative e auto-investigatirici. E
Goran Petercol (Pula, 1949; vive a Zagabria) non si sottrae alla regola, nel senso di una deriva che per comodità si può dire
concettuale della sua ricerca.
I lavori esposti da Suzy Shammah -disegni, sculture, installazioni- sembrano occasionati dalla complementarietà fra logica della regola e creatività dell’arbitrio, valore normativo di un principio puramente soggettivo e vincolante del tipo: “Se inizi così, allora devi proseguire così e non altrimenti”. Disegni che esemplificano la mantica della regola e dell’arbitrio con segni grafici simili a baffi fatti con la grafite, i cui estremi sono vicendevolmente collegati con righe a perpendicolo, secondo punti di contatto ben precisi, intersecati da diagonali.
Ma, talora,
tertium datur. E non è obbligatorio cercare accostamenti inediti anche laddove non ve ne siano: cosa sono una sedia e una tazzina rovesciata? Goran Petercol è anche autore di particolari sculture di bicchieri e piatti in frantumi e successivamente riassemblati ad altre parti, che assumono così forme plastiche quasi picassiane. È centrale il problema della forma, esemplificato nell’installazione
Moria Cup e
Moria Chair.
Un piedistallo regge una tazzina rovesciata su cui un’applicazione ne riprende il contorno ideale: tale ritaglio dell’oggetto è quanto resta di un ideale prelevamento dal suo luogo occupato nello spazio. Quindi, in un certo senso,
Moria Cup è la sopravvivenza della forma, laddove la sedia rovesciata
Moria Chair ripresenta la stessa idea in un dettaglio che si ripete macroscopicamente in un disegno su carta,
Stylization.
Ma come non v’è estensione senza colore, così non v’è forma senza luce:
Mould Stool è uno sgabello in legno cavo al proprio interno che non produce ombra. Se qui l’ombra è la forma, allora quest’opera vuole esserne in un certo senso la negazione. L’installazione è collocata nello spazio fisico della galleria, ma si tratta di un oggetto senza luogo. Quindi non esiste. Gli oggetti esistono perché v’è luce: vuoti come esseri senza organi al proprio interno, sono come morti.
Però le installazione luminose
Mould Night Table e
Hole constano di un piccolo mobile con due cassetti illuminato dall’interno e una sorta di fanale opaco da cui filtra una sorgente luminosa. Riaffermando così la solidarietà di luce e forma, e sortendo inquietanti interrogativi sulla relazione fra soggetto e oggetto nello spazio. È allora importante trovare associazioni proprie o improprie col titolo della mostra?
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Queste forme suggeriscono che potrebbero anche non esistere: quasi inghiottite dalla propria ombra sono un momento di fugace gracilità lontano dal 'prima' di una piena esistenza e prossime al 'dopo' dell'annullamento.
Ma che noia con questo minimalismo di maniera ...prima il soffitto che quello s'era portato da casa, adesso questo... shammah datti una regolata altrimenti non veniamo più.