Sono poco più di una quarantina le opere, quasi tutte di qualità eccelsa, quelle che Brera ha tolto dai suoi ricchissimi depositi e riportato in mostra nelle sale già dedicate al Seicento lombardo. Lavori per lo più di grandissimo formato – soprattutto pale d’altare – ma anche più piccoli quadri di devozione privata e ritratti. Videro la luce (e il termine non è scelto a caso) quando Milano era sotto la dominazione spagnola: un’epoca che, complice il Manzoni dei Promessi Sposi, tutti ricordiamo come oscurantista e opprimente, ma che invece, grazie all’influenza del cardinali Carlo e Federico Borromeo, fu tutt’altro che priva di genialità creativa. Perché, sotto la spinta propulsiva del Concilio di Trento, divenne la fucina di un modo nuovo di intendere l’arte: come, cioè, ausilio alla devozione e paradigma dei valori più autentici di una rinnovata religiosità cristiana.
La mostra copre dunque l’arco esteso tra l’età di Federico Borromeo e la successiva stagione barocca e la svolta classicista della seconda Accademia Ambrosiana. La cura ineccepibile di Simonetta Coppa e Paola Strada ha promosso tra i tanti il Quadro delle tre mani che rappresenta il martirio delle sante Rufina e Seconda, detto così perché dipinto “a tre” dal Cerano, dal Morazzone e da Giulio Cesare Procaccini. E poi il Noli me tangere di Fede Galizia (1616), dove la Maddalena vestita sontuosamente si genuflette davanti a un luminoso Cristo risorto in veste di giardiniere: ai suoi piedi un’esplosione di fiori ritratti con minuzia calligrafica da una naturomortista purosangue quale l’artista era. Ecco la Santa Caterina in estasi di Francesco Cairo appartenuta a Testori e probabilmente ispiratrice, con la sua intensità mistica, di certe sue eroine tormentate. E poi lo straordinario Cristo nel sepolcro, San Carlo e Santi (1610 circa) del Cerano, restaurato per l’occasione come il dipinto della Galizia, che ha rivelato, nella fretta in cui fu realizzato, colore steso coi polpastrelli e relative impronte digitali dell’artista. Ancora, la commovente Adorazione dei pastori di Giuseppe Vermiglio, esempio nitido dell’influenza del realismo di Caravaggio e del suo trattamento rivoluzionario della luce. Poi la ritrattistica, tra cui scegliamo l’enigmatica tela di gruppo della famiglia Nuvolone in concerto, realizzato dai due fratelli Carlo Francesco e Giuseppe, in cui lo spettatore viene coinvolto nella scena da sguardi che vincono il tempo. Si tenta pure di ricostruire l’importante serie di dipinti realizzati per la Sala dei Senatori in Palazzo Ducale (oggi Palazzo Reale) dispersa con la ristrutturazione neoclassica dell’edificio: in mostra abbiamo tre tele tra cui due del ciclo della Passione commissionato dal mecenate Bartolomeo Arese nei decenni centrali del XVII secolo.
In attesa di poter vedere sempre queste opere esposte, come promesso dalla soprintendente Sandrina Bandera, nella futura “Grande Brera”, l’esposizione milanese è un tripudio di colori, un fruscìo di sete e stoffe preziose, un’enorme quinta teatrale in cui sacro e profano, celeste e terragno si uniscono in un mix che stordisce, inquieta, sublima. Ma è, soprattutto in questi tempi, una coraggiosa mostra di ricerca, di restauro e di riscoperta. Anche per questo merita assolutamente una lunga e meditata visita. Catalogo edito da Skira.
elena percivaldi
mostra visitata il 7 ottobre 2013
dal 8 ottobre al 12 gennaio 2014
Seicento Lombardo a Brera
Pinacoteca di Brera
Via Brera 28, Milano
Orari: 8.30-19.15 da martedì a domenica (la biglietteria chiude alle 18.40). Lunedì chiuso.