Ci sono le tele, ci sono i colori a olio, c’è
una qualche attinenza con il figurativo. Nel senso: quantomeno non c’è
astrazione. In sostanza, i lavori che
Miltos Manetas (Atene, 1964; vive a
Londra e Milano) ha scelto per la “prima” della Gloriamaria Gallery, fresca
realtà milanese, veleggiano nel
mare magnum dell’arte
contemporanea con l’apparente placidità di un mercantile, quando non con la
manifesta indolenza di una chiatta che si trascina lungo il Po.
All’improvviso, invece, eccola: bandiera nera,
ghigno da teschio e tibie incrociate. Dai boccaporti spuntano i cannoni. Alla
barra del timone, lui: Manetas. Cala la benda sull’occhio e si rivela il pirata
che è. Teologo di una nuova, ulteriore dimensione. O meglio: consapevole messia
di un’arte 2.0, che si misura apertamente e profondamente con le nuove
tecnologie.
Aveva lanciato il sasso a fine anni Novanta, usando
come supporto per le proprie opere – tanto figurative tanto concettuali – homepage di siti web: basta
un salto su www.guydebord.com per apprezzarne l’intuizione cristallina. Aveva piazzato
il carico di bastoni qualche tempo dopo, creando il movimento Neen: felice
neologismo che alla modernista voce ‘screen’ lega la radice greca – arcaica,
filosofica, eterna – del termine “ora”, trasmettendo il concetto di dialogo
passato-presente, tradizione-innovazione.
Si era spinto ancora oltre, fino a conseguenze
che sembravano estreme, con gli
Internet paintings, teleri di grandi
dimensioni, opere aperte dove riportare a scadenze prefissate i “ritratti” di
pagine internet determinanti per l’evoluzione del suo linguaggio.
Arriva, oggi, a definire compiutamente la
propria eversione. I
Pirate paintings sono la traduzione visuale della
battaglia condotta da Pirate Bay, superficialmente bollata come sorta di
“banda” di hacker; in realtà movimento complesso, che punta alla libera e gratuita
circolazione della cultura – in tutte le sue forme – attraverso la rete.
Tradotto in sintesi: una piattaforma per il libero carico-scarico di materiali
multimediali; una comunità internazionale che ha saputo ritagliare i propri
spazi di comunicazione prima a Manifesta 7, poi all’ultima Biennale di Venezia.
Fino a riuscire a “secolarizzarsi”, producendo in Svezia una forza politica
capace di ottenere un seggio al Parlamento Europeo.
Manetas omaggia la rivoluzione dei pirati del
web con questa nuova serie di opere. Sulle tele campeggia il veliero simbolo del
gruppo: tagliato, interrotto, spezzato da hard disc, chiavette e cavi usb. Il
quadro, simbolo dell’arte a 16bit, si rivela in realtà porta spaziale, veicolo
per un altro luogo, gelosamente e misteriosamente raccolto negli elementi
tecnologici.
Categorico presentarsi in galleria armati di laptop,
necessario “accedere” ai quadri nel senso letterale del termine: per scaricare,
leggere e interpretare nella sua interezza il messaggio dell’artista. Non più
un semplice mondo, casomai un intero universo.