Pare quasi un ambiente alla Moby Dick l’atmosfera ricreata da David Renggli (Zurigo, 1974). Niente a che fare però con cacce in alto mare ad inseguire la balena bianca, né con la sublime potenza del capitano Achab. Qui piuttosto si è davanti all’inizio del viaggio e il lettore è ancora immerso nella notte invernale di New Bedford. Sembra così che il lavoro voglia ripercorrere i ritmi e le atmosfere delle pagine iniziali del libro.
Ci accoglie una lampada che traballa su un vecchio pezzo di legno e dietro l’angolo sale, con il suo odore soffocante, un accenno di nebbia sintetica. “Da tutti e due i lati non case, ma blocchi di oscurità, e qua e là una candela, come un lume che sbatte in una tomba”. Poi l’ambiente appare come una locanda con bottiglie svuotate e lumicini sopraffatti dalla nebbia e dal fumo. Ci si aggira in quest’atmosfera fluttuante da parco di divertimenti, quando davanti alla parete con i 1001 quadri (a dire il vero qui ne sono esposti solo la metà), ecco ancora il testo di Melville. Proprio come nella locanda dello Sfiatatoio, in questa luce debole, proveniente da più parti, si riesce a leggere il senso dei dipinti solamente piantando gli occhi vicinissimi al vetro e con estrema fatica si coglie il significato di ciò che viene presentato ai nostri occhi.
Il paragone regge però solo fino a questo punto. Tra le piccole cornici, infatti, nessuna balena impalata sulle teste d’albero, nessun legno australe che va sbattendo in un grande uragano, ma piuttosto citazioni di lavori dell’artista, accenni a Robert Morris, copertine di testi Phaidon, donne da rivista e immagini erotiche. Come nel quadro raccontato da Melville risulta impossibile ricavare una visione unitaria o almeno un filo conduttore. Rimane “un quadro davvero melmoso, fradicio, serpigno, da far perdere la testa ad un nevrastenico” e su questa scia potrebbe collocarsi anche il titolo della mostra: You, can you recommend your psychiatrist?.
È un lavoro su una pittura espansa e rivisitata, che trasforma questo medium in un meccanismo più ampio, in strumento inserito all’interno di un gioco artistico complesso. Il gesto pittorico viene a perdere i suoi connotati autonomi per divenire semplice citazione, ma non del singolo maestro, proponendo magari una serie di masterpiece, quanto piuttosto dell’idea stessa di pittura. In realtà questi germi pittorici non sono del tutto nuovi, anzi hanno accompagnato in forme diverse gran parte del percorso artistico del Novecento. Qui però la pittura entra in un itinerario ironico, viene decontestualizzata in un clima da parco dei divertimenti, si ritrova immersa in una soffocante nebbia sintetica come se fosse anch’essa un meccanismo, un effetto speciale. Il contesto non può essere slegato dall’opera pittorica, che viene quindi a presentarsi come parte di un -volutamente ridicolo- environment ed attraverso questa pantagruelica opulenza la pittura trascina se stessa nello spazio del comico e del visionario. Quel visionario di cui parlava Harald Szeeman con le sue mostre su Svizzera, Austria e Belgio e in cui idealmente sarebbe possibile far rientrare anche il lavoro di David Renggli.
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