Nel 1890 il pittore svizzero
Ferdinand Hodler creava
La notte, composizione allegorica d’impronta spiccatamente simbolista, raffigurante un gruppo di uomini e donne nudi adagiati in una dimensione non naturale, a mezz’aria fra il sonno e lo spaesamento. Inermi e indifesi, erano fissati in una sorta di momento immobile di fragilità . La serie di fotografie e il video con cui
Maria Friberg (Malmö, Svezia, 1966; vive a Stoccolma) firma la sua terza collaborazione con la galleria Galica fa pensare alla medesima idea di vulnerabilità . Nulla a che vedere con lo stile chiaro, semplice e ruvido di Hodler. E diversi sono medium espressivo e temperie culturale. Ma sembra di rivedere uno stesso simbolo archetipico.
Essenzialmente antiritrattistica, l’opera di Friberg si rinnova attraverso la serie
alongside us, epitome la cui pregnanza iconica è riferita al rifornimento in volo degli aerei ed estesa simbolicamente alla precarietà ontologica dei rapporti interpersonali. Sembra di scorgere una costante nella biografia professionale dell’artista, racchiudibile nei concetti di contemplazione e pensare-senza-le-parole. Si tratta sempre di lavori particolarmente limpidi e raffinati.
Limpidezza è la caratteristica intrinseca di questa nuova serie fotografica, dove la timbrica fredda, pura e pulita di immagini che raffigurano personaggi in vesti virginali, scalzi, quasi dormienti, fluttuanti come in uno stato di vulnerabilità embrionale e però adagiati su rami spogli di alberi contro un cielo bianco come la neve, si liquefa nel bianco e nero degli unici colori presenti: il celeste glaciale e puro del cielo, il candore delle vesti e il nero dei rami, che sembrano graffiare la superficie di uno specchio. In questo senso, peraltro, va intesa la pregnanza calligrafica con cui l’artista svedese dà forma al canto primordiale anteriore alla cultura, all’imborghesimento, all’attitudine urbana, alle norme comportamentali codificate e sottese alla sovrastruttura di principi performativi consolidati. Non necessariamente falsi. Ma forse veicolo di una dimenticanza.
Questa serie fotografica vuole proporre il recupero di un rapporto con la natura da parte dell’ente naturale per eccellenza. Dunque, un dialogo con se stessi. Il canto primordiale prende la forma del soliloquio. I soggetti delle fotografie sono spogli delle convenzioni e indossano vesti che, per il loro candore, sono tuniche, accessori ieratici. Sono scalzi e recuperano un rapporto non contingente con la natura e sé. Riflettono, dormono, che importa? Sono uomini messi a nudo in posizione precaria e innaturale, ma hanno la stessa innocenza dell’elemento fetale incontaminato e silente.
Tornano alcuni luoghi della Friberg: la vita silente -espressione, lo si è già detto, con cui altrove si rende l’orribile “natura morta”-, la dimensione fluttuante e dormiente della bellezza. Tali soggetti stanno lì non per verdetto divino, non per la violenza della storia. Ma il recupero dell’autenticità passa attraverso soluzioni “strane”.