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fino al 12.VI.2005 | Steve McQueen | Milano, Fondazione Prada

di - 22 Aprile 2005

Alla sua prima personale in Italia, il britannico Steve McQueen (Londra, 1969), vincitore del Turner Prize nel 1999, reinterpreta gli spazi milanesi della Fondazione Prada. Della sua produzione, iniziata nei primi anni Novanta, si è deciso di privilegiare i lavori più recenti: scelta che rende omogenea l’esposizione di un artista la cui ricerca ha invece spaziato molto negli anni, sia dal punto di vista dei contenuti che dei media utilizzati.
New Year’s day 2002, After Evening Dip Mees 8 (2005) accoglie il visitatore all’ingresso, passaggio obbligato verso il successivo articolarsi di spazi inusuali anche per il frequentatore abituale della Fondazione. L’opera, un box luminoso appeso alla parete, viene esposta per la prima volta: colori tenui, una figura femminile si staglia sull’alba chiara di una spiaggia umida. La nitidezza emotiva viene quasi sfocata dalla leggera sgranatura dell’immagine, che sembra restituire un ricordo lontano nel tempo, ma carico di partecipazione sentimentale.
Oltrepassato questo lavoro, teso ad instaurare un rapporto empatico tra l’artista e il visitatore, l’ambiente si trasforma in un lungo contenitore in penombra, dal quale si accede alla saletta dove viene proiettata la pellicola Charlotte (2004). Tornati nella semioscurità l’attenzione viene subito attirata dalle immagini dei video Carib’s Leap (Falling People)/Carib’s Leap (Live Action), entrambi del 2002. Il titolo si riferisce al nome di un’altura a strapiombo sull’Oceano, dalla quale gli abitanti dell’isola di Grenada, nelle Antille, si gettarono nel 1651 in un vero e proprio suicidio di massa, scegliendo la morte pur di evitare la schiavitù sotto il dominio francese. I video mostrano due aspetti diversi di questa piccola isola: in Falling People la camera riprende la vita che lentamente scivola lungo la spiaggia dall’alba al tramonto di un giorno qualsiasi, suggestivamente riprodotta priva di sonoro.

L’impalpabile senso di oppressione che ne deriva esplode nel successivo Live Action, dove il riferimento alla storia locale diventa più esplicito.
Per raggiungere le ultime due sale si deve attraversare una sorta di limbo: l’installazione Pursuit (2005), pensata appositamente dall’artista per la mostra milanese. Un enorme spazio completamente immerso nell’oscurità, le cui pareti fittizie sono ricoperte di un materiale specchiante che moltiplica lo spazio all’infinito, e con esso le immagini impalpabili proiettate al centro della stanza.
Il lavoro Western Deep (2002) -presentato per la prima volta a Documenta- deve il suo titolo ad un altro luogo fisico ben definito: è infatti il nome di una miniera aurifera presso Johannesburg che si inabissa per più di tre km nelle viscere della terra. McQueen segue i minatori nell’arco dell’intera giornata di lavoro, in un toccante viaggio che sprofonda sempre più nell’abisso. Tutto è claustrofobico: dall’ascensore che rumorosamente trascina verso il basso i lavoratori (passaggio iniziatico anche per lo spettatore), all’ancor più inquietante silenzio che accompagna le sequenze incentrate sul lavoro nella galleria sotterranea.
Un suono lancinante e ripetitivo accompagna l’ultima istantanea: al ritmo di un ossessivo segnale acustico i minatori devono eseguire una serie di esercizi di disintossicazione corporea, allineati e depersonalizzati. Oppressiva, alienante e cruda, l’atmosfera di questo lavoro colpisce fortemente lo spettatore, dove l’elemento maggiormente straniante è la natura di “normalità” delle immagini, rispetto alle scene proposte ogni giorno dai media, il cui orrore lascia ormai quasi indifferenti.
L’ultimo video, Girls,Tricky (2001) riprende il musicista e produttore inglese Tricky durante la registrazione di un brano che parla di ragazzi cresciuti senza il padre. Anche in questo caso la componente emotiva si aggiunge alla ricerca stilistica propria delle immagini, il cui scopo è il totale coinvolgimento dello spettatore che, come dichiara l’artista stesso, si deve sempre trovare “in una situazione in cui ognuno diviene sensibile al massimo grado verso se stesso, il proprio corpo e la propria respirazione…” (Interview de Steve McQueen par Hans Ulrich Obrist et Angeline Sharf, in Steve McQueen, Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, 2003).


INTERVISTA

La tecnologia vincola l’opera d’arte (ad una spina elettrica, ad esempio), o la libera ancora di più? perché il linguaggio video ti è così caro?
Se Leonardo avesse avuto a disposizione una telecamera, sono sicuro che l’avrebbe utilizzata. Ma non ne aveva la possibilità: si tratta di evoluzione naturale, di progresso. Prima c’era una matita. Poi un pennello. E ora c’è la telecamera. Io voglio semplicemente vedere la mia fantasia diventare realtà.

Quando un tuo lavoro ti soddisfa?
Quando provoco emozioni alla gente. Emozioni che si erano addormentate da qualche parte. Erano invisibili, ed improvvisamente divengono familiari. Io voglio che le persone arrivino a riconoscere se stesse, i propri sentimenti.

Cos’è l’arte oggi?
A me non interessa cosa oggi sia l’arte. Non mi curo di cosa sia “Sexy Art”. Guardo solo se i miei lavori vanno bene.

L’associazione di opposti (rumori-luci-forme), il fatto che tu utilizzi tante tecniche artistiche differenti in un’opera sola, sembra essere un linguaggio a te caro: come evitare che tutto si risolva in un mucchio di stimoli senza ordine?
Un video deve avere l’effetto della radio: ti “proietta” in un’altra situazione. E questo è ciò che voglio fare anch’io: creare reazioni a partire da un frammento.

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(mostra vista il 12 aprile 2005)

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Steve McQueen – a cura di Germano Celant – 12 aprile – 12 giugno 2005
Fondazione Prada, Via Fogazzaro, 36 (zona Porta Romana) Milano – da martedì a domenica, ore 10-20; chiuso il lunedì – ingresso libero – Informazioni: tel 02 546 70 515, fax 02 546 70 258 – www.fondazioneprada.orginfo@fondazioneprada.org – Ufficio stampa: tel 02 546 70 981, fax 02 546 70 258 – press@fondazioneprada.org


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  • -Mc Queen visto e sentito.Bene
    tutto bene ma si si poteva almeno stampare qualche manifesto e attaccarlo per milano.
    mmmmh..........Pochissima gente il giorno dopo .
    L'inaugh era un vippaio sin senz.

  • buone intenzioni pseudo-umanitarie e
    solita routine da strumentazione video
    a noleggio: quest'arte a sfondo sociale
    inevitabilmente gira a vuoto attorno a sè stessa; l'empatia per deboli e sfruttati
    non ci aiuta da sola a trovare soluzioni e probabilmente nemmeno a capire; cosi' come templi biblici ed assenza di regia
    non fanno né cinema, nè documentario
    e nè arte ( nel senso di una qualche intelligenza operativa, qui sostituita da scorciatoie assai banali, etichettabili come prevedibili episodi del "manierismo" contenutistico propugnato dalla
    nomenklatura artistico-internazionale.

  • il bignamino ha sentenziato !
    Doveva essere pesante tenersi tutta quella cultura dentro.Per foretuna ha evacuato.
    ora tutti a cena da Marcello che ha fatto la carbonara.

  • Mostra non vista ma non me la perdo di certo. Andare a queste inaugurazioni é matematico trovarci il vippaio, e io qualche volta ci vado proprio per questo.
    Mi chiedo, invece, perché a una riflessione sulla mostra motivata e meditata si risponda alla tipica maniera "a tarallucci e vino"? Forse quando non si é in grado di rispondere a tono? Di sicuro l'arte contemporanea si piglia troppo su serio ma dire delle cose sensate -opinabili e magari anche non condivise- é molto meglio che parlare dei propri appetiti e quello che ne consegue.
    ... E io preferisco gli spaghetti a vongole un pò rosé! Accompagnati dal vino rosso, e si!

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