La seconda vita artistica di
Alberto Biasi (Padova, 1937) rappresenta un passaggio di status: l’identità degli esordi -storica, avanguardistica e legata allo spirito di gruppo della prima militanza- registra una deriva intimista e “solistica”. Fondatore del Gruppo N, Biasi spinge il sodalizio veneto all’internazionalizzazione a fianco del Gruppo T di Milano. Gli interessi si dirigeranno poi, progressivamente, verso la sperimentazione personale nell’
open art: le strutture cinetiche, sogno di un’immagine perennemente in movimento, sono progetti spaziali dalla percezione instabile. Sono il puntamento analitico dello spazio perennemente in formazione.
Biasi evolve la programmazione percettiva, sovrapponendo ai tracciati cinetici delle retine lamellari in pvc che ne potenziano il trucco illusionistico. Se gli anni ‘60 sono il momento d’affermazione dei grandi nuclei dell’arte cinetica cisalpina, gli anni ‘70 rappresentano l’apertura individualista di Biasi verso la possibilità della modulazione formale dell’oggetto dinamico, attraverso elementi geometrici rotanti. Nascono le
Torsioni, che propongono il recupero del pattern cinetico in una dimensione ancora più dinamica. Individuando un perno di rotazione, le lamelle che velavano le sovrapposizioni compiono il mezzo giro o il giro intero. Gli anni ‘80 vedono poi un’ulteriore declinazione del movimento, percepito nell’opera attraverso l’inserimento dei fenomeni di “cinetismo apparente” indotti dalla relazione tra colori. La componente cromatica si estenderà anche agli anni ‘90, dove si assocerà alla proiezione dell’opera nello spazio di fruizione: le strutture a rilievo spazializzano la programmazione percettiva, amplificandone il movimento armonico. Nell’espansione virtuale dell’opera segnica, il soggetto diventa fluido e partecipativo.
Lo spiazzamento della visione e la ricognizione percettiva inseriscono nell’arte optical un ritmo spaziale, che si appoggia alla musicalità della percezione e alla sua scansione interna, fatta di accenti e fraseggi. L’ispirazione sembra fondarsi in
Malevic, nel suprematismo russo e nei primi azzardi di
Bruno Munari. Le influenze dell’astrattismo geometrico e del costruttivismo permettono alla componente astrattista di ingoiare quella dada che aveva caratterizzato i primi lavori.
Trame (1960) ci riporta all’opera “chiusa” come antefatto e alle
Tavole nere, concettualmente vicine ai
Monocromi di
Yves Klein. Mentre la concretezza del materiale accompagna, nel
Sogno di Adamo (1991), lo studio futurista sui poli energetici e dinamici dell’immagine.
In sottofondo, una reazione alla perdita del potenziale di irruzione e della proposività di rottura dell’arte. Contro il nichilismo espressivo, Biasi cerca di ricostruire un
ethos artistico: il cinetismo della seconda fase fonda una “metaprogettualità” che si libera dell’ossessione dell’utilità pratica, nel tentativo di rivitalizzare le cesure con la rappresentazione tradizionale. Perché l’intenzionalità dell’arte è libera e disinteressata.