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Principle hope, presso la ex Peterlini di Rovereto, presentava un immemore tappeto di polvere, emblema dell’impermanenza e di tutta la carica teorica del suo lavoro. È però l’installazione in nastro adesivo
Liberare le menti, occupare gli spazi che, in quella stessa occasione, costituiva una
summa e un’anticipazione delle “operazioni” site specific di
Igor Eskinja (Rijeka, 1975; vive a Venezia e Rijeka).
In questo solco s’inserisce la personale da Luger, dove Eskinja sfrutta la logica installativa del wall painting per operare negli spazi, invertirli e occuparli con un nuovo senso. E da qui anche la liberazione della mente: attraverso una semplificazione delle immagini, l’artista croato allestisce un vero e proprio set visivo in cui muoversi, senza intenzioni e direzione, in modo “condizionato”.
Senza nulla togliere a una serie di lavori grafici racchiusi in cornici, lo studio ambientale sulle possibilità soggettive della percezione spaziale sembra essere il più interessante. Eskinja “prepara” lo smarrimento e la confusione del visitatore: la composizione di pochi elementi bidimensionali gestisce le relazioni spaziali e modula un luogo immateriale che ha il suo corpo tra l’idea e la sua realizzazione.
Con pochi interventi decisi, Eskinja mette il fruitore in una situazione traballante, lo costringe a seguire il reciprocarsi di tratti visibili, presenti e ingombranti, e di impercettibili richiami mentali. Lo invita a trovare un equilibrio percettivo, aggiustando progressivamente la propria relazione con gli “oggetti” esposti.
La ricerca di Eskinja sembra essere approdata a un limite di radicalizzazione in cui questioni teoriche legate alla percezione trovano un campo di verifica nell’ambiguo quanto complesso concetto di
dimensione. Riflettendo sul forte grado di astrazione di una pratica così concreta come la misurazione dei luoghi, il croato cerca di neutralizzare la consistenza fruitiva degli ambienti, smaterializzando gli oggetti che li occupano e che ne definiscono l’identità. Le dimensioni vengono dichiarate in-oggettive, fluttuanti e deformanti per struttura. Sull’onda di questa consapevolezza, le cose sono tutte ridotte a una “riproduzione”, risolte nella prospettiva frontale e nella piattezza bidimensionale delle superfici o letteralmente
adese ai muri.
La scena espositiva, ridefinita da macchie nere informi, scopre una morfologia e una geografia inedita, tracciate da interventi lievi che riescono a ri-strutturare in profondità. Così anche il linguaggio: semplificato, grammaticale, quotidiano e per nulla immaginifico.
Le incrinazioni percettive di Eskinja sono alla ricerca di una
soglia percettiva e di forme all’altezza dell’ambiguità. Il crinale tra il reale e l’immaginato diventa il limite critico dove prendono cittadinanza gli
oggetti minimi di questa mostra: ciò che si dà a vedere non sono le cose, sempre sull’orlo della scomparsa, ma è quel vuoto che supporta la percezione soggettiva.
Un resoconto sul potere costruttivo dello sguardo, sigillato da un ironico elemento scultoreo in carta, isolato ed enfatizzato in una piccola stanza della galleria.
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Seppur rappresenta una corrente stravista Igor radicalizza bene e in modo sincero su quella linea che da montesano arriva a seghal.
marta