Di
Franco Vimercati (Milano, 1940-2001) si deve parlare sempre come di una presenza-assenza nel mondo della fotografia. Una presenza perché tutti lo evocano come un maestro, uno da cui non si può prescindere quando si fa riferimento al linguaggio fotografico. Un’assenza perché non si ha mai una traccia esaustiva della sua opera, le personali essendo state assai rare nel corso della sua vita. Per ciò non si può che salutare con grande interesse questa mostra, che trova il suo nucleo espositivo centrale a Como, mentre un’altra sezione si trova a Varese, dove sono esposte le fotografie di Vimercati della collezione di Rosa Giovanna e Giuseppe Panza di Biumo.
Nel 1975 Vimercati realizza trentasei scatti per una
Bottiglia di acqua minerale, esposti per la prima volta alla Galleria d’Arte Moderna di Modena, dove la mostra venne chiusa dall’allora assessore alla cultura il giorno stesso dell’inaugurazione. Le opere di Vimercati avevano avuto la capacità di suscitare uno sgomento tale da non poter sostenere lo sguardo. Ma il problema è proprio questa incapacità dell’occhio che, di fronte all’immagine scarna di un oggetto, non riesce ad adeguarsi alla visione. Una bottiglia, colta nella sua nuda oggettualità, pone in crisi tutti i codici visivi. Vimercati arriva a questa consapevolezza attraverso la dura pratica che gli deriva dal suo operare. Ciò che lo interessa è il lavoro sulle cose e non una rigorosa riflessione sul loro senso.
Le cose prese e viste in questo modo vengono percepite nella loro pura forma, senza poesia e senza una sovrastruttura metafisica. Ecco allora che, sempre nel 1975, è realizzata la serie di sei piastrelle, quelle del pavimento di casa dell’artista, che diventano motivo di esercitazione compositiva. È invece del 1977 la serie di scatti fatti ai listelli del parquet. Tutta la produzione successiva, fino ai primi anni ‘80, si concentra sull’oggetto d’arredo classico: il vaso, il vassoio, i fiori. Si potrebbe pensare a nature morte, ma sarebbe troppo semplice. Nelle immagini di Vimercati c’è un lavoro costante sull’agire fotografico.
Gli anni che vanno dal 1982 al 1992 sono quelli della realizzazione del ciclo sulla
Zuppiera. Una serie che sposta i canoni della ricerca sulla fotografia e testimonia un’applicazione ossessiva sulla riduzione dell’immagine, per “
evidenziare al meglio le differenze-tema” di tutti i suoi lavori. Gli scatti di questo ciclo diventano spunti che possono essere confrontati solo con altri suoi lavori. Passa, dal 1995 in poi, a riprendere oggetti d’ogni tipo: calici, vasi, barattoli, tazze, caffettiere, sveglie, frutta, contenitori in porcellana. Alcuni oggetti sono capovolti, ma in realtà sono proposti come la lastra li mostra nel primo istante dell’impressione.
Vimercati si dispone così verso la fotografia come il filosofo classico nei confronti della verità. L’obiettivo è smascherare il linguaggio della fotografia per assegnarle il
rispetto che merita.