Isolate dal tempo e dallo spazio. Immobili in una dimensione appartenente a una realtà statica ed eterna, priva di dolore e avulsa da ogni definizione. Le opere di
Riccardo Focacci (Premosello, Verbania, 1960) non mirano a scioccare il pubblico e non additano significati predefiniti. L’artista non vuole imporre il contenuto delle sue creazioni -tutte volutamente
Senza titolo-, ma desidera che lo spettatore lasci liberamente scaturire le proprie emozioni di fronte a un’arte che ambisce a essere fine a sé stessa, pura ricerca del piacere estetico. Audaci o malinconiche, ironiche o religiose, le sue creazioni, trionfo di sensazioni e spontaneità, sono soggette a molteplici e contrastanti interpretazioni, tutte accettabili perché ognuna riflette un aspetto di un presente troppo complesso e poliedrico per poter essere definito in modo univoco.
“Creare dal nulla un mondo migliore”: dev’essere questo, secondo Focacci, il fine più nobile della creazione artistica.
La rassegna -prima tappa di un tour che coinvolgerà una decina di città fra Varese, Milano e la Svizzera- rende omaggio alla produzione dell’artista con una quarantina di lavori ispirati al
combine painting. Influenzato dalla Pop Art, e in modo particolare da
Bob Rauschenberg, Focacci non si limita alla semplice pittura, ma introduce all’interno delle sue composizioni elementi materici e oggetti d’uso comune. Lettere tridimensionali, pennelli, fotografie, mezzi busti e addirittura poltrone e persiane: in un’ottica di consumismo e totale democratizzazione, tutto può aspirare a elevarsi al ruolo di “arte”.
Una forma artistica spersonalizzata, accessibile a tutti, ma non per questo meno ermetica. Imperante è il colore rosso, intenso e onnipresente, riprodotto in modo ossessivo in tutte le opere, dalle sculture alle installazioni, dai quadri monocromi a quelli associati al piombo, come le
Foto di Marte, tutte giocate su forti contrasti cromatici. La vera protagonista dell’arte focacciana è tuttavia la resina alimentare, materiale usato in ogni lavoro. Duttile e trasparente, la resina ingloba al suo interno qualsiasi oggetto, modificandone l’essenza e creando una barriera protettiva che lo isola dalla realtà esterna. Sospesa in una rassicurante eternità, l’arte per Focacci è un baluardo difensivo dove tutto può essere accolto, imprigionato dallo smalto e isolato da ogni possibilità di contatto. Arte e realtà fuse insieme, in una dimensione che oscilla tra possibile e impossibile, in una costante ricerca di sperimentazione e libertà espressiva. Le sue istallazioni sono la sintesi concettuale delle ansie e delle emozioni di un’epoca che forse si muove troppo rapidamente. Allora meglio fermarsi, fuggire dalla realtà e rifugiarsi in un’arte priva di vita. Immobili e silenziose, le sue creazioni si fanno espressione dell’esperienza dell’umanità. Tra le sculture spiccano i mezzi busti umani ricoperti di lettere: corpi parziali e scomposti, portatori di sillabe e parole, simboli di un linguaggio incomprensibile e privo di significato. La materia supera il suo ruolo primordiale, si sostituisce alla parola e si appropria del potere semantico. Materia e significato si fondono nell’atto estetico: l’oggetto diventa forma e, attraverso la trasformazione artistica, induce a una profonda riflessione su ciò che trascende la realtà stessa.