Nel luglio del 1999, nel corso di una protesta studentesca
contro il regime di Teheran, il fotografo
Jamshid Bayrami (Teheran, 1961) immortalò
l’attivista iraniano Ahmad Batebi con in mano la maglietta insanguinata di un
compagno, emblema della violenza subita durante la repressione di quei giorni.
L’immagine finì sulla copertina del londinese “The Economist” e successivamente
fece il giro del mondo, diventando all’istante il simbolo di una lotta per la
democrazia che rimarrà tra le più rappresentative nella storia cruenta
dell’Iran moderno.
A Batemi, catturato e imprigionato, la fotografia costò
anni di torture e sevizie in galera. Durante il processo il giudice,
mostrandogli la copertina del settimanale, gli disse: “
Con questa immagine
hai firmato la tua condanna a morte”. Ma fu forse solamente grazie all’eco che quell’immagine
ebbe in tutto il mondo che Batemi venne risparmiato. Oggi, dopo anni di
prigionia, vive in esilio politico in America, dove si occupa di
fotogiornalismo e di diritti umani.
Jamshid Bayrami, invece, in seguito alla vicenda ha
preferito rivolgere il suo obiettivo verso altri temi, abbandonando il
giornalismo di guerra, con cui aveva esordito all’epoca del conflitto tra Iraq
e Iran. Dopo anni passati a fare il reporter, Bayrami ha deciso di seguire una
pista diversa, scegliendo una cifra espressiva nuova, lontana dall’immagine di
cronaca.
In
Chant of Faith, prima personale dell’iraniano da Project B, sei
scatti di grandi dimensioni occupano le sale della galleria, passando in
rassegna la storia di un popolo attraverso credenze e rituali popolari, come i
pellegrinaggi e le preghiere comuni. Il soggetto delle fotografie è infatti
l’Islam, inquadrato nei momenti di fede collettiva.
Nelle foto di Bayrami, l’Islam sembra un movimento
sterminato, difficile da racchiudere nella superficie seppur enorme della tela
su cui è stampata l’immagine. Le figure in preghiera continuano all’infinito,
dando alle opere un senso di movimento spesso circolare e danzante. Bayrami
sembra quasi aver messo in posa queste masse di persone, allineate come sono
secondo un ordine assai preciso. La grande varietà dei pellegrini, tutti però
uniti nello stesso atteggiamento di preghiera, li rende un corpo unico, come
attraversati da un solo respiro.
Anche gli accordi cromatici sembrano studiati a tavolino,
secondo precise regole pittoriche. Ma sono incredibilmente frutto del caso. Il
nero e il bianco dei veli delle donne in preghiera si alterna con risultati coloristici
sorprendenti, così come le vesti bianche o azzurre degli uomini colti in una
pausa conviviale durante il pellegrinaggio.
Per Bayrami la fede diventa la lente d’ingrandimento
privilegiata attraverso cui indagare gli usi e i costumi, e le caratteristiche
somatiche di uomini e donne di diverse popolazioni. E le immagini del fotografo
iraniano offrono una finestra privilegiata su un mondo, quello islamico, che
per molti rimane ancora in larga parte oscuro e misterioso.